DischiHOMERecensioni

Paolo Benvegnù, “Dell’odio dell’innocenza”: come possiamo salvarci?

Paolo Benvegnù ne ha fatti di album da quel primissimo “Piccoli fragilissimi film”, datato 2004. Molti lo ricorderanno anche per i lavori imprescindibili realizzati con gli Scisma (“Rosemary Plexiglas”, “Armstrong”), ad accompagnare gli alternativi anni ’90.

Dell’odio dell’innocenza” è un album come non se ne fanno più oggi, vecchio stampo. Al solito, i testi sono profondi e cantati in modo tale da risaltare, rispetto alla musica. Essa non è mai banale e questa volta non sembra voler rispettare i canoni di perfezione o di sperimentazione visti negli altri lavori. Qui le melodie percorrono, invece, strade che s’interrompono, dipingendo atmosfere gelide o acustiche oasi di contemplazione sull’umanità. L’elettronica è usata in maniera delicata.

“Dell’odio dell’innocenza” può essere considerata una raccolta di storie che si svolgono un po’ nelle nostre città, un po’ altrove, in angoli remoti.

Oggi più che mai, in un’epoca che alterna paure a capri espiatori, paranoie a solitudini, quest’album illumina con i suoi undici raggi le cose da salvare e quelle di cui disfarsi, raccontando sogni ed incubi del nostro presente. Appare di continuo il bisogno di allontanarsi dalle meschinità di tutti i giorni, col tempo che scorre via sempre troppo in fretta. Ed è proprio l’innocenza, così infantile, irregolare e sregolata, che può offrire più di una soluzione (“La nostra vita innocente”, “La soluzione”). Chissà che qualcuno non ne prenda spunto in questi giorni difficili.

Tra gli abitanti della terra il peggiore è l’uomo, animato dall’individualismo e dall’illusione di poter possedere tutto, anche la libertà. All’uomo si preferiscono le pietre, senza ombra di dubbio (“Pietre”, “Infinito 1”). Si predilige il silenzio, la contemplazione della natura, la visione della volta celeste, delle stelle, che lasciano ancora spazio all’immaginazione (“Nelle stelle”).

A salvare l’uomo, forse ancora poco consapevole del disastro che lo attende, è l’amore. La relazione, vissuta in stato di abbandono e di grazia, consente il completo estraniamento da tutto (“Infinito 3”). Bisognerebbe riconoscersi animali, fermarsi ad ascoltare i bisogni essenziali come la fame e la sete, e riattivare i cinque sensi e poi riconoscersi infinitesimi di fronte all’indifferenza dell’universo.

Allo stesso modo, sarebbe più utile aprire le porte all’altro e abbandonare la frenetica tendenza a stravolgere il mondo, covando bisogni artefatti (“Altra ipotesi sul vuoto”, “Animali di superficie”). La pace sta nel sogno lucido di una fuga senza ritorno, in cui s’immagina un mare che culla due corpi trasportati “lontano dal mondo” (“Non torniamo più”).

Quando il sogno finisce si assapora malinconicamente la nostalgia di un mondo soltanto che non esiste e ci si ritrova scaraventati nell’immanenza della vita, un po’ inferno e un po’ no. In una qualsiasi stazione non-luogo, il protagonista di questa storia imbraccia una chitarra acustica e inizia a cantare, per placarsi. Ed è in questo momento che egli spera di essere, ancora, nella vita di qualcun altro (“InfinitoAlessandroFiori”).

Paolo Benvegnù incarna, ancora una volta, l’evoluzione del cantautorato italiano, offrendo col proprio bagaglio il meglio della musica “indipendente” che fu. Non conosce alti e bassi né strizzatine d’occhio all’industria musicale. Paolo Benvegnù suona come Paolo Benvegnù. “Dell’odio dell’innocenza” è la sintesi di una carriera fatta di piccoli fragilissimi film d’autore, mai proiettati e sempre emozionanti.

 

One Comment

Leave a Reply