Ciò che è necessario è spesso anche ciò che non viene compreso fino in fondo. La maggior parte dei club del mondo si riservano la selezione alla porta. La selezione alla porta è uno dei momenti di maggiore incomprensione e allo stesso modo di empatia di una serata passata in discoteca. Un attimo breve e fugace per capirsi, prendersi, afferrarsi, scoprirsi e nel buio incatenarsi al piacere. Ci sono selezioni alla porta soft: entrano tutti fino a quando c’è posto, purché non si lascino passare possibili elementi di disturbo; ci sono selezioni alla porta hard, dove entra solo chi risponde ai criteri stabiliti dal locale, giusti o sbagliati che siano. Poi, ci sono selezioni alla porta leggendarie, come quelle del Club Plastic di Milano: tu ti faresti entrare al Plastic?
Simone Rutigliano è il door selector di Club Domani, il party del sabato del locale: “Il Plastic ha sempre avuto la selezione alla porta, la storia delle persone in fila fuori col selector che dice ‘tu puoi entrare. tu no.’ fa parte della mitologia sviluppatasi attorno locale. È una cosa che non aveva mai fatto nessuno prima in Italia ed è stata una cosa che ha contribuito a creare l’immagine del Plastic. Tutti coloro che ci lavorano pensano che sia uno dei punti forti del locale: proviamo a riunire della gente che viene da tante parti del mondo in modo sensato, cerchiamo di comprendere chi ha consapevolezza del luogo dove sta per mettere piede, del tipo di ambiente che sta andando ad incontrare e di cui sta per fare parte. Come selector devo trasmettere l’immagine del locale, devo mostrare col mio volto, con la mia estetica ciò che poi la gente andrà a scoprire all’interno”.
Simone Rutigliano, efebo d’oro bergamasco, mi accoglie virtualmente in casa sua. Indossa una t-shirt di cotone rossastro Paco Rabanne, un Timothée Chalamet della val Seriana, che ti aspetteresti di incontrare a bordo piscina in croptop e short Levi’s sfilacciati (“non indosso né croptop né jeans in realtà, ma se fa parte della tua fantasia ok.” commenta Simone), mentre sorseggia annoiato un Rob Roy. Gentile e cordiale, in un altro spazio-tempo avrei potuto finire la serata con lui mangiando gelato affogato all’amarena da una vaschetta di plastica dell’Esselunga, in coppe spaiate di finto cristallo, ornato da panna spray Oplà, con una spolverata di cannella in polvere che s’è fatta una passeggiata in dispensa. Ma così non è, siamo distanti e nel bel mezzo di una pandemia, chiacchiereremo via Skype.
Simone è uno stylist affermato, collabora con numerose celebrities, tra le quali Belen Rodriguez e Irama, che ha recentemente vestito per un’apparizione televisiva con un meraviglioso pantalone leopardato, su un paio di stivaletti di pelle col tacco altrettanto deliziosi ed una camicia degna di aggettivi altisonanti per la sua semplice sensualità, tutto firmato Dries Van Noten tranne le scarpe di Giuseppe Zanotti.
Simone, inoltre, collabora freelance con numerose pubblicazioni, è stabilmente Fashion Editor at Large per The Greatest Magazine, si è occupato dello styling per il video di Club Domani & Jerry Bouthier con Cristina Bugatty YOU BE. Forse proprio vedendo quel video mi sono innamorato della sua figura, lì lo si può osservare marciare come una fiera braccata dalla cacciatrice Atalanta, con i suoi occhi voraci di luce, pronto a prendersi tutto lo spazio che merita, he owns everything.
Simone mi appare come una creatura notturna, se Edgar Allan Poe avesse scritto dei ditirambi, avrebbe senz’altro descritto il viso pallido, color cera di luna, di Simone, fasciato da sottili strati di stoffe preziose, oro e porpora, arrampicate anch’esse su stivaletti di pelle, è fermo, severo, un rampollo dei Del Dongo da La Certosa di Parma, se fosse un capo sarebbe una giacca di sartoria cucita da Céline Vipiana o un corpetto di Dario Princiotta.
“Lavorando come stylist per la rivista ho la possibilità di sperimentare, esplorare. Quando si realizzano editoriali la parte estetica e etica è completamente tua, decidi tu cosa trasmettere, senza scendere a compromessi. Poi ti dirò che vestendo Irama sono stato molto fortunato perché ha espressamente richiesto una ricerca che sviluppasse la sua immagine, quasi partendo zero, che mi ha concesso grande libertà e fortuna vuole che abbiamo gusti molti simili. Quando l’ho incontrato mi ha conquistato con una frase ‘io non indosso le sneakers‘. Frase che io uso sempre. Indosso solamente stivaletti a punta di pelle, ed anche Irama. Con lui sono combaciate talmente tante cose, che vestendolo mi è sembrato di realizzare un editoriale vivente”.
Simone finito il liceo, si trasferisce a Milano. “Trovo che Bergamo sia fantastica, ma molto chiusa a livello di mentalità ed io non mi sentivo ancora totalmente libero in città, la mia persona era qualcosa di embrionale, avevo bisogno d’altro. Quindi, a 19 anni, ho deciso di trasferirmi a Milano. Mi sono trovato il primo anno nella casa di un prete, una casa della Curia… pranzavo sul fonte battesimale, no comment! Certo è un’esperienza assurda da raccontare. Non avevo un soldo. I primi lavori che ho iniziato a fare erano nella nightlife. Ho cominciato proprio come door selector, ad una serata chiamata Alphabet, che si faceva il venerdì sera al Rocket. Era il 2015. Caso vuole che tra le persone che organizzavano questa serata ci fosse uno dei door selector storici del Plastic, che mi ha preso sotto la sua ala e mi ha introdotto al mestiere. Era un periodo in cui la gente usciva meno, forse anche perché era il momento del boom di Netflix. Andava forte l’hip hop, ricordo questa serata del sabato molto frequentata, che era molto urban e che si chiamava Akim, ecco diciamo che la disco un po’ glam non andava bene”.
Nel 2016 Simone mette piede per la prima volta al Plastic. “Ho iniziato frequentando il locale, andavo a ballare ad una serata del venerdì: Reaction. Era già il nuovo Plastic, purtroppo non ho mai visto la vecchia sede di viale Umbria. Nicola Guiducci, uno dei soci fondatori, mi ha mostrato un po’ di libri, un po’ di sue foto e mi ha parlato del vecchio locale: leggendario. La prima volta al locale dentro di me c’era una sorta di reticenza, di paura. Era come se non mi sentissi pronto, passabile. Al tempo collaboravo con una rivista di menswear, grazie alla quale ho incontrato tanta gente che frequentava il Plastic. Avevo visto delle foto di Leonardo Persico a Club Domani ed ero molto intrigato sia dalla sua ricerca nel proporre col proprio corpo e col proprio outfit nuovi modelli, nuove possibilità, sia dall’ambiente, dalla serata. Il Plastic è una scuola estetica e frequentandolo ho avuto modo di affinare e approfondire il mio interesse per la moda”.
Vedere come la gente si prepari per entrare al Plastic parla della discoteca come di quel luogo dove chiunque può essere qualunque cosa per una notte. I corpi racconto desideri, gli abiti danno forma a questi desideri. Una persona con la sensibilità, gli interessi ed il gusto di Simone, che, lavorando come stylist, si nutre di immagini, di scoperte, di tessuti, di pelli, sa come maneggiare stile ed estetica “guardando anche le immagini banalmente dai social della gente del Plastic, forse, un po’ scioccamente, ti dico che non mi sentivo pronto in principio ad andare al sabato. Non mi sentivo completo per riuscire a godermi l’intera esperienza in sé. Fin quando non ho raccolto tutto il mio coraggio, mi sono deciso e sono andato. Una volta arrivato a Club Domani, vedere le sale trasformate ed allestite per la serata mi ha folgorato. Dopo mezzo anno da cliente mi sono detto ‘voglio lavorare qui’. Così mi sono proposto a Sergio Tavelli e ho iniziato come barista. Faceva morir da ridere perché all’inizio non sapevo fare i drink! Le prime volte ero un po’ lento, ricordo questo aneddoto di una persona che mi dice ‘voglio un long island’ ed io, guardandolo torvo, gli rispondo ‘senti NO. Vodka e…? – e, mettendogli il bicchiere sul bancone, gli urlo – ENJOY!’.
Tra le drag queen, la gente che lavora lì, i clienti, c’è un’energia super piacevole. Nonostante mi divertissi molto a fare il barista, volevo arrivare al posto di door selector e fortunatamente, ad un certo punto, il door selector titolare mi ha preso sotto la sua ala. Normalmente i selector sono due: uno che tiene la lista e fa la selezione vera e propria ed un aiuto. C’era questa ragazza che lasciò il posto di appoggio e così nel 2018 ho iniziato, come aiuto-selector. Ho ricoperto questo incarico fino a Capodanno 2019, dopo di che sono subentrato a tutti gli effetti come door selector, coadiuvato da una persona che ha un amore ed una passione per il locale tali che la portano a ricoprire spesso ruoli diversi per la sua conoscenza del posto e di chi lavora al Plastic e dei clienti abituali. Poi, si è aggiunta stabilmente al team della porta una mia grandissima amica, una delle prime persone che ho conosciuto a Milano, che da settembre alla malaugurata chiusura della stagione causa COVID mi ha accompagnato nel mio lavoro selector”.
La porta è un mestiere anche fisicamente probante, immaginate stare quattro o cinque ore a Milano, al freddo, la notte, in piedi, ad accogliere le persone, sempre con professionalità e garbo, Simone, però, ama il suo lavoro e non ha problemi a svolgerlo al meglio. “Devo essere sincero, il fatto di stare fuori così tanto, con qualche piccola pausa che ci concediamo, non mi pesa più di tanto. Io, francamente, anche quando frequentavo il locale da cliente, non sono mai stato una di quelle persone che si butta in mezzo alla pista e fa fuochi d’artificio. Sono uno che sta composto, seduto, a bere il suo drink e ad osservare. Osservo veramente tanto. Deformazione professionale. Mi interessa cogliere i particolari delle persone che vengono, ammirare le drag queen.
Per me fare la porta è un piacere. Poi, con Mimmo, che è il buttafuori per eccellenza, che mai si è staccato dalla porta negli anni, se io non colgo qualcosa, la coglie lui, siamo in simbiosi, a volte passiamo le serate a chiacchierare della sua vita, della sua famiglia, c’è una bella atmosfera!”.
Se la porta è un mestiere incompreso, la sicurezza è addirittura, a volte, qualcosa che viene osteggiato, sarà perché gli esseri umani amano infrangere i limiti che vengono posti a loro tutela, che a volte è anche positivo. Quello che posso testimoniare è che ogni discoteca in cui ho lavorato ha sempre avuto uno staff di sicurezza fatto di persone che durante la settimana fanno gli edili, i fiorai, gli assistenti in casa di riposo, persone comuni, che sono lì per garantire che il divertimento di tutti avvenga nel massimo rispetto reciproco. Uomini soli i buttafuori, uomini che andrebbero amati di più.
Un punto di forza del Plastic è il fatto che il locale si trovi in una posizione isolata rispetto alla movida: “Tu devi scegliere di andare al Plastic. E questo è un vantaggio per il locale. Una cosa che mi viene detta spesso da chi viene rimbalzato è che la persona è arrivata apposta fino al locale dall’altra parte di Milano, da Monza, da quant’altro”.
L’arte del selector sta nel portare avanti la linea editoriale del locale, il selector è l’insegna umana del locale: “Devo dire che all’inizio il sabato sera per me rappresentava un modo per buttare tutto fuori, magari durante la settimana non potevo vestirmi in maniera particolare, mentre il sabato potevo esprimere totalmente la mia estetica, esattamente come volevo. Il Plastic è un locale che ti accetta, in qualunque modo tu sei. Che tu venga con una maglietta nera o pieno di glitter e piume, sei sempre il benvenuto. L’importante è che quando ti presenti alla porta tu sia consapevole di quello che ti aspetta. Per i nuovi arrivati, la cosa che io personalmente cerco è una sorta di visibilità totale, se ti presenti come un muro, nascondendo qualcosa, non vai da nessuna parte. I
l Plastic premia chi balla e chi si diverte essendo ciò che è… e va bene quasi tutto! Non ci sono mai stati limiti o divieti dal punto di vista della taglia, dell’estetica, non ci sono limitazioni che discriminano. La leggenda del ‘hai abbinato male vestito e scarpe quindi non entri’ è assolutamente falsa ed anche fantastica, se ci pensi. Alla fine della fiera, quando fai il selector per un po’ riesci a capire che persona ti si sta presentando davanti, semplicemente con lo sguardo. Ti svelo un mio pallino che ho sviluppato seguendo un consiglio di precedente selector: guardo molto le scarpe della gente, perché dalle scarpe c’è tutta una filosofia che si può trarre per cercare di comprendere la gente. La scelta della calzatura può indicare la tipologia di persona che hai davanti”.
I locali che funzionano hanno bisogno della selezione alla porta anche perché questa risulta essere un fattore di orizzontalità e di garanzia dell’accesso alla festa a quelle persone che hanno fatto lo sforzo di rendersi consapevoli dello spirito della festa stessa, rispettando in primo luogo loro stesse e poi le persone che hanno attorno, per creare quel piccolo, magico, fecondo, umwelt, che è un party “i clienti del Plastic si dividono in clienti abituali e tutti gli altri. Noi, ci tengo a ribadirlo, non facciamo alcun tipo di discriminazione, non è semplicemente questo il nostro lavoro, la selezione serve piuttosto a garantire tutti, a rendersi conto che la persona che arriva sia pronta ad entrare in un locale come il Plastic, ad una festa come Club Domani”.
Una cosa che ho sempre trovato veramente fastidiosa sono gli sguardi che inquinano l’aria: una persona lancia uno sguardo che inquina l’aria quando guarda ridacchiando, o con altro atteggiamento denigratorio, una persona che ritiene, quando va bene, curiosa, solo perché la vede diversa da sé. Magari la persona che lancia quello sguardo, anche solo tenuto troppo a lungo fisso su un’altra persona, non è razzista, omofoba o altro, ma è qualcosa che comunque non dovrebbe accadere, un buon selector è come l’ossigenatore in un acquario, permette che tutti i pesci abbiano l’ossigeno necessario a nuotare esattamente come gli pare, divertendosi nel farlo.
“È capitato, per esempio, che sono arrivati quattro ragazzi che sono stati rimbalzati. Si sono messi da parte e hanno cominciato a vedere chi entrava. Guardando tanta gente vestita in maniera estrosa, hanno deciso simpaticamente di prendere camicie e magliette ed usarle chi come turbante, chi come scialle e riprovarci. Ecco questo lo trovo un atteggiamento irrispettoso che mi dimostra come queste persone poi non avessero idea di dove volessero andare. Noi combattiamo le etichette e tu per entrare cerchi di scimmiottare la gente con una propria identità ed un proprio stile? Tesoro assolutamente: NO!”.
I fattori tecnici che fanno mezzo party sono delle buone luci all’interno del locale ed una buona selezione all’esterno: “Quando arriva una persona che non ho mai visto, l’empatia è qualcosa che mi serve per capire se questa persona è pronta. Ho quindici secondi dall’ingresso al cancelletto sulla strada alla porta. Ho imparato che davvero non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina. La parte preferita del mio lavoro è quando le persone escono dal locale. Le persone che conosco, quando le vedo uscire dal locale, mi restituiscono una sorta di parte intima, di segreto, delle cose successe al locale, che rimarrà sempre tra me e loro. Solo con lo sguardo. Le persone che, invece, non conosco mi danno una strana emozione: penso, per esempio, a quella donna di cinquant’anni con la quale ho parlato alla porta dieci minuti e che sono stato lungamente indeciso se fare entrare o meno, che, guardandomi all’uscita, è come se mi stesse dicendo ‘grazie, è stata un’esperienza bellissima’. Ecco, più di così, che posso chiedere!”.
I party raccontano libertà, perché la notte è un momento di libertà e la discoteca è il suo palcoscenico: “Prima di Club Domani, o anche all’inizio della mia esperienza col party, se avevo un drink in pre-serata altrove a Milano evitavo di andare vestito in maniera troppo eccessiva. Poi, passando i sabati, riesci a capire in quale bolla ti trovi e com’è il mondo esterno, questo ti dà la forza di andare a portare quella libertà del Plastic fuori, anche per un drink in Fondazione Prada. Perché no? La discoteca ti fa crescere come persona, ti regala un’esperienza di grande spessore. Per me tra notte e giorno cambia quasi nulla, mi sento libero e mi esprimo ugualmente in entrambi i mondi. Poi, lavorando nella moda, ho anche scoperto che quello che scopro nel clubbing posso portarlo nel fashion e viceversa. Cerco di prendere dai due mondi il meglio e mescolarlo per riportarlo nell’uno e nell’altro. Prediligo il menswear perché trovo che ci siano ancora tantissimi tabù da sfatare e il clubbing mi aiuta a lavorarci su. Questi tabù al Plastic non esistono”.
Jacopo Bedussi recentemente, in un delizioso mini-mémoire sul Plastic e su Nicola Guiducci, ha scritto: “Tanti anni fa al Plastic mi svacco su un divano per riprendere fiato, mi giro e mi accorgo di essere seduto di fianco ai R.E.M. Allora corro in consolle da Nicola e gli dico tutto entusiasta: ‘Nichi ma hai visto che c’è Michael Stipe?’ e lui mi risponde: ‘Ancora?’”.
L’impressione che si ha del posto, da fuori, è infatti quella che di trovarsi accanto Grace Jones o Keith Haring, alla fine, con le parole di Simone: “Non gliene fregherebbe assolutamente niente a nessuno, alla gente non gliene può fregare di meno di chi si trova accanto! Alle persone che lavorano al Plastic men che meno. Che sia un fioraio o il designer del momento, il Plastic è sempre e comunque pieno di gente interessante, che veramente nessuno si interessa della celebrity. Tu sei al Plastic per goderti la situazione. Ognuna delle persone che entra vuole solo divertirsi. Ogni sabato è un’esperienza nuova e irripetibile. Questo ti fa apprezzare sempre di più, da diverse prospettive, la grandezza della situazione”.
Situazionismo è libertà e che meravigliosa utopia è il clubbing.