L’11 marzo 2020 Nicolas Jaar annuncia l’uscita del suo quarto album.
Il producer cileno-americano non è sicuramente uno a cui piace stare con le mani in mano, perché negli ultimi 2 anni ha avuto il tempo per creare un’ installazione in Olanda, partecipare ad un’esibizione in un centro archeologico negli Emirati Arabi, produrre l’album “Magdalene” di FKA Twigs e fare uscire ben 2 dischi sotto il nome di Against All Logic con cui è riuscito a sfogare la sua vena house, funky e disco.
“Cenizas“, che segue di quattro anni il precedente “Sirens“, è stato presentato il 24 marzo in diretta streaming sul canale Twitch dello stesso Jaar. Figlio di un periodo di autoisolamento e autopurificazione l’album si presenta a noi come un viaggio, quasi un sogno, della durata di 53 minuti lungo le sfumature più oscure, misteriose e affascinanti del nostro io, della nostra interiorità e della nostra inquietudine.
Il suo aspetto lento, buio e immersivo unito ad un’atmosfera avvolgente e totalizzante rendono questo disco letteralmente senza tempo e lontano da qualsivoglia futile tentativo di uniformarsi o di seguire una qualche moda. La sua voce, il piano, i synth, i numerosi tappeti di droni e i fiati sono gli elementi essenziali di questo viaggio che si apre con “Vanish“, dove un’atmosfera ambient si unisce ad un insieme di armonie vocali celestiali, quasi solenni a simboleggiare l’inizio di un percorso in cui saremo praticamente costretti a guardare profondamente dentro noi stessi.
“Menysid” è arricchita da un canto lontano e mistico che viene intervallato da un ritmo molto glitchy che ci porta direttamente alla title track del disco. Qui il suono, finora abbastanza cristallino, si fa un po’ più lo-fi e sporco; Jaar utilizza un registro vocale basso e il suo cantato, probabilmente molto vicino al microfono, si adagia perfettamente ai droni e ai synth disegnati per l’incantesimo che sta recitando. Un beat finale e un basso morbido e caldo chiudono quello che è a tutti gli effetti uno dei momenti più alti del disco.
“Agosto” vede per la prima volta far capolino i fiati, ispirati dall’album Crescent di John Coltrane, e porta avanti un mood organico, coeso e ancestrale che si protrae in “Gocce“, fortemente caratterizzata da un alienante e continuo glissando di piano.
Arriviamo così ad uno dei momenti più importanti del nostro viaggio, ovvero “Mud“.
Sette minuti di estasi e trance con al centro ancora la voce di Jaar, stavolta affogata nel delay; la solennità unita ad elementi tribali ma soprattutto psichedelici ne fanno il pezzo probabilmente più facile da assimilare. Le melodie sono deformate, la sua voce è come un orizzonte che si allontana sempre più lasciando spazio al piano e all’ansia per essere stati inghiottiti in qualcosa che non ci aspettavamo. Ed è il momento di iniziare a pensare a come uscirne fuori, ma la risposta è già dentro di noi. La spiritualità non basta e adesso dobbiamo rivolgere lo sguardo dentro noi stessi, come suggerito per altro dalla copertina dell’album.
“Vaciar” è un intermezzo di due minuti che serve a tenere alta tutta la tensione accumulata finora.
“Sunder” ha un ritmo un po’ contorto, come se saltellasse su e giù in maniera spasmodica e incostante, ha una bella progressione di accordi e un organo che si stringe attorno alla voce, di nuovo sussurata, di Jaar. In “Hello, Chain” ritroviamo all’inizio il coro angelico e il misto di luci e ombre che avevamo già incontrato nell’opener del disco ma poi il pezzo si ferma e cambia direzione. Un organo prettamente ambient fa da sfondo a voci e synth incastrati fra di essi alla perfezione, probabilmente l’episodio più emozionante del disco.
I fiati sono di nuovo protagonisti in “Rubble”, mentre “Garden” ha un pianoforte riverberato che ricorda molto da vicino James Blake. “Xerox” è un concentrato di tutti gli elementi che abbiamo visto finora i quali vengono mescolati insieme per dare vita ad un altro momento ancestrale carico di pathos e che ci prepara alla catarsi emotiva che si consumerà nell’atto finale.
Il pezzo che chiude il nostro viaggio si chiama “Faith Made Of Silk” e spezza letteralmente l’incantesimo. Se il disco si caratterizza per la quasi totale assenza di beat, ecco arrivarne finalmente uno. Anche la voce adesso è più chiara e meno effettata e distorta, si inizia ad intravedere la luce ma è soprattutto Jaar a indicarci la strada: “Look around not ahead”.
Adesso che abbiamo affrontato i nostri demoni interiori è il momento di guardarci intorno, non avanti, di cercare gli altri, per unirci e per risorgere insieme dalle ceneri.