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LOW: Double Negative (e in fondo anche Ones and Sixes)

By settembre 25, 2018 No Comments

Che i Low facciano parte di quella ristretta cerchia di artisti sinceri e impegnati che non scende a compromessi con la produzione o con le esigenze di mercato, lo testimonia la loro evoluzione della seconda metà degli anni Dieci. Non paghi di una formula stilistica consolidata, a partire dal 2015 (con il precedente Ones and Sixes e oggi con Double Negative), si mettono in gioco e decidono di imprimere quella svolta che li consegnerà ai posteri non soltanto come alfieri dello slowcore. Chi li conosce profondamente non ha quasi bisogno di ascoltare le tracce dei due album per comprenderne il messaggio: basta un rapido sguardo alle copertine per essere proiettati fulmineamente nel loro universo. Da un lato (Ones and Sixes) una “natura morta”: un albero spoglio su campo grigio (non è il grigio – nelle sue mille sfumature, mi si consenta – il colore prevalente delle nostre protesi tecnologiche?); dall’altro (Double Negative) una faccina di plastica su campo rosa. La natura muore laddove prende vita un golem plastico che ci guarda con gli occhioni languidi e ruffiani del gatto con gli stivali. Le due realtà si guardano a distanza e finiscono per compenetrarsi come la musica dei due album, nei quali la materia elettronica gioca un ruolo complementare: laddove nel precedente arricchisce di nuove sfumature la formula alchemica della band di Duluth, nell’ultimo la travolge ma senza fagocitarla, la metabolizza. Yin e Yang. I Low rendono in musica il messaggio relativistico-morale del Paul Thomas Anderson di The Phantom Thread, che ci ricorda che ciascuno di noi è vittima e carnefice dell’altro allo stesso tempo. Poi arrivano melodie malinconiche, arpeggi minimali e quella desolante trama glitch, un humus dal quale sboccia quel magnifico fiore che è la voce di Mimi Parker (se mi chiedessero una definizione di felicità, risponderei che questa è l’addormentarsi tra le braccia di Mimi Parker che ti canta una ninna nanna): la signora Sparhawk sarebbe capace di spedirci nell’ultraterreno pure se intonasse “neghini neghini nasanucolò”. La splendida Dancing and Blood è martoriata da un opprimente incedere percussivo, sul quale si innesta il canto materno e avvolgente di Mimi Parker: qui si sfiora l’apoteosi. L’intesa col marito sfiora vette che solo Lisa Gerrard e Brendan Perry hanno saputo raggiungere – Always Trying to Work It Out e Rome (Always in the Dark) su tutte –  e il sodalizio artistico con il produttore BJ Burton ci riporta indietro nel tempo a quell’altra svolta epocale che fu quella dei Radiohead di Kid A e Amnesiac: Poor Sucker è una nuova Like Spinning Plates. Ora che hanno sfornato questi due capolavori, possiamo anche consentire ai tre del Minnesota di abbandonarsi al peso degli anni e di congedarsi quali dinosauri del rock: per quasi trent’anni ci hanno regalato brividi e lacrime; se amiamo la musica tutta, in fondo, lo dobbiamo anche a loro.

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