In vista delle imminenti date italiane abbiamo raggiunto via mail The Soft Moon, attualmente impegnato in tour con la band, per una intervista in pieno stile Nofunzine.
Ciao Luis, piacere di conoscerti e grazie per la disponibilità.
Qualche settimana fa ti ho visto in concerto al Levitation France – ottimo live a proposito. Ho notato che, contrariamente a quanto mi aspettassi, la scaletta non era incentrata su Criminal, il tuo ultimo lavoro, ma ben bilanciata, con canzoni prese qua e là da tutti i tuoi album e questo ha reso la performance più varia, se posso dire. La sensazione era quella di trovarsi di fronte una sorta di compendio targato The Soft Moon.
L’intenzione era effettivamente quella di presentare l’intero percorso che hai fatto fin qui, come se il presente fosse una conseguenza naturale del tuo passato e non una pagina nuova scritta da zero? Spesso capita che le scalette dei concerti diventino un semplice atto di promozione del materiale più nuovo, specie quando questo segna una nuova fase creativa rispetto al passato, invece non è stato così.
In realtà la scaletta l’ho appositamente pensata così per i fan. Tutti hanno un album o una canzone preferita. Cerco di mantenere un bell’equilibrio tra il vecchio e il nuovo per assicurare a tutti una bella esperienza durante il live: a chi segue The Soft Moon fin dal primo giorno, ai fan dell’ultima ora, ma anche tutti coloro che si sono avvicinati in corso d’opera.
Parlando del processo che ha portato The Soft Moon alla sua forma attuale, sembra che i tuoi album riflettano in qualche modo una ricerca interiore, una sorta di viaggio verso il tuo io più profondo. Tutta la tua musica è sempre stata scura, polverosa e ipnotica, ma in Criminal ho trovato disperazione, irrequietezza e rabbia. Anche il suono in sé ora è molto più spesso, pieno di rumori, lontano dal ronzio ovattato e freddo dei precedenti album e la tua voce stessa si è fatta più aggressiva e viscerale qui. Insomma, diciamocelo, Criminal è un album decisamente incazzato. Perché?
Criminal è effettivamente il risultato di una profonda esplorazione emotiva. C’è qualcosa di viscerale in tutto ciò, in quella parte di me a cui sono arrivato cercando le radici della mia sofferenza. Quello che ho trovato è un sacco di rabbia repressa, radicata in alcuni miei traumi infantili.
Non avevo altra scelta se non liberarla così, nel tentativo di guarire.
Capisco. A questo proposito non so se tu hai mai visto “This is us”, la serie tv drammatica creata da Dan Fogelman, con Milo Ventimiglia e Mandy Moore. L’intera storia si è rivelata molto toccante per me. Senza cadere in spoiler vari, Kate – una dei personaggi principali della serie – ad un certo punto, nella prima stagione ha una sorta di svolta catartica, un’intensa esperienza emotiva attraverso cui fa uscire tutto ciò che la blocca lanciando un urlo viscerale, durante una scena molto potente interpretata magistralmente da Chrissy Metz.
Quando ho guardato quella puntata, io ero in un periodo davvero difficile, sull’orlo di un esaurimento nervoso e ho realizzato che effettivamente tutto quello di cui avevo bisogno in quel momento era esattamente fare uscire fuori tutto ciò che di tossico mi stava avvelenando l’esistenza. Mentre guardavo quella precisa scena ho sentito un terribile nodo alla gola, come se fosse necessario gridare fortissimo per scioglierlo.
Magari sbaglio, ma la violenza di un urlo liberatorio di quel genere mi sembra simile all’urgenza espressiva che ha dato origine ai tuoi lavori più recenti. Quindi, facendo un parallelo, possiamo forse dire che Criminal è la svolta catartica di Luis?
Sì, certamente lo è, ma allo stesso tempo non lo è stata abbastanza da innescare una piena esperienza catartica per me.
Criminal ha fatto uscire allo scoperto un sacco di rabbia, ma so che dietro quella rabbia ci sono emozioni più complesse. Dovrò lavorare a modo mio, attraversando la mia stessa violenza e sviscerando la mia stessa aggressività per farle venire fuori, un percorso piuttosto impegnativo.
C’è una frase in “Like a Father” che mi ha colpita molto e che in generale credo non possa passare inosservata all’interno dell’album: “This knife like a father hunt you down, turn you off to be stronger”. Un padre come coltello è un’immagine abbastanza forte, che in qualche modo sento mia, mio malgrado. Mentre per molta gente la figura del padre è quella di un eroe protettivo, per me è tuttora una sorta di cecchino, emotivamente parlando.
Le persone di solito hanno qualche riluttanza a condannare la condotta dei propri genitori. Forse per retaggio culturale, sai… “onora il padre e la madre”. Ma è chiaro che le ferite che i genitori infliggono ai propri figli, a differenza di quelle inflitte da tutte le altre persone che si incontrano nella vita, fanno più male e spesso non possono essere guarite del tutto perché sono profonde e te le porti dietro per sempre, anche quando non sono intenzionali. Figuriamoci poi quando sono frutto di azioni deliberate…
E si dice che quello che non ti uccide ti fortifica, ma io non so se sono proprio d’accordo. Alcune ferite che non mi hanno uccisa, sono arrivate così nel profondo che ancora mi stanno danneggiando. Penso piuttosto che quello che ti ferisce, può indurire la tua pelle, in questo senso il dolore crea una sorta di difesa massiccia, muri invalicabili, quasi una fortezza inespugnabile attorno alla tua parte più vulnerabile, ma a volte il dolore ti lascia bucato come un colabrodo. Quindi non sono così sicura che indurirsi significhi anche rafforzarsi. Forse personalmente direi che quello che non ti uccide, può farti diventare un combattente. Tu invece che ne pensi? Le ferite di cui parli ti hanno rafforzato?
Per certi versi sì e per altri no. È sempre un’arma a doppio taglio. Alcune volte le nostre ferite ci danno forza, ci rendono più potenti e consapevoli, e altre volte ci schiacciano, è così.
Io devo ancora imparare a padroneggiare i miei paesaggi mentali, e quindi spesso torturo me stesso crogiolandomi nel dolore di vecchie ferite.
So che ho bisogno di guardare con attenzione al passato e conoscerne ogni singolo pezzo per superarlo, ma fa troppo male e quindi di solito fuggo via, correndo da un’altra parte. Immagino sia puro senso di autoconservazione.
Per certi versi sembra che tu combatta una costante guerra civile contro te stesso.
C’è una famosa frase in Anthem di Leonard Cohen che di tanto in tanto mi torna in mente: “There is a crack in everything / That’s how the light gets in”. Immagino un raggio di luce che, nel buio più totale, si riesce a infiltrare tra le mie macerie interiori. Ecco, in tutto quel buio, rumoroso e devastante mondo che rappresenti nelle tue canzoni, credi ci sia spazio per la luce? E se sì, qual è il lato chiaro di Soft Moon?
Se c’è un lato chiaro di me, io penso che sia la capacità di esprimere così tanto di me stesso attraverso il mio lavoro. Non conosco nessun altro modo per comunicare efficacemente le mie emozioni se non questo.
La musica è il modo in cui mi connetto con il mondo ed è così che me la cavo. Mi dà un senso di sollievo, anche se momentaneo. È libertà.
Quest’estate ho avuto il piacere di vedere suonare The Jesus and Mary Chain a Ypsigrock, il festival di cui sono brand e communicaton manager, e devo confessare che il mio sogno proibito sarebbe avere i Nine Inch Nails al nostro festival.
Tu a dicembre condividerai il palco con entrambe queste band per due show già sold out a Los Angeles, si prospetta una vera bomba.
Dunque, a parte tutta la mia invidia, cosa ti aspetti da questi due live?
Sono davvero abbastanza curioso su cosa ci sarà da aspettarsi, ma per me è assolutamente già un onore che mi sia stato chiesto di aprire quei concerti.
In realtà sono diventato solo da poco un “fan” dei NIN, ma sono un fan de The Jesus and Mary Chain fin da quando ero adolescente.
Sono sempre più agitato del solito quando mi capita di esibirmi di fronte a un pubblico che potrebbe non sapere chi sia The Soft Moon come in questo caso. Si tratta di creare nuovi fan, in un momento in cui loro non se l’aspettano minimamente.
Hai accennato di essere da sempre fan dei JAMC. Ti va di dirmi a quali album o altri artisti ti senti intimamente legato? Non intendo chiederti di fare fantomatiche classifiche, top 5 o roba del genere, vorrei solo sapere con quali dischi sei cresciuto e quali ti hanno segnato in qualche modo.
I dischi a cui sono più legato sono probabilmente quelli che ho scoperto da bambino, tra cui: Iron Maiden “Seventh Son of a Seventh Son”, Guns N’ Roses “Appetite For Destruction”, Descendents “Liveage”, Slayer “Reign In Blood”, Prince “Purple Rain”, Suicidal Tendencies “S/T”, Eazy E “Eazy-Duz-It”, Bad Brains “S/T”, Bad Religion “Suffer”, Minor Threat “S/T”, solo per citare alcuni degli album che sono stati di vitale importanza per me e per la mia crescita personale come essere umano.
Sul palco suoni con due musicisti italiani: Matteo Vallicelli e Luigi Pianezzola. Hai vissuto a Venezia e hai passato alcuni mesi a Bassano del Grappa, dove è stato registrato Criminal. Quindi immagino ti piaccia l’Italia e che tu conosca un pochino il mio Paese.
Il tuo attuale tour include due date in Italia, entrambe in Sicilia. Il 26 ottobre sarai a Palermo e, non so se lo sai, ma il 2018 è un grande anno per la città di Palermo: è stata eletta Capitale Italiana della Cultura e ospita anche la 12esima edizione di Manifesta, la prestigiosa Biennale Europea di Arte Contemporanea.
Parlando proprio di cultura, c’è qualche riferimento che consideri d’ispirazione o che apprezzi particolarmente in quella italiana? A parte la cucina s’intende 🙂
Sì, apprezzo molto i registi horror italiani come Lucio Fulci, Dario Argento, Umberto Lenzi etc.
C’è stato anche un periodo in cui collezionavo colonne sonore degli ultimi anni ’60 e primi anni ’70, album psych e prog rock italiani tra cui i dischi de Le Orme, I Goblin, Franco Battiato e Piero Umiliani.
Neanche tra un milione di anni avrei mai immaginato che mi sarei trovato così immerso nella cultura italiana o che mi sarebbe capitato addirittura di vivere in Italia. È davvero interessante vedere dove mi ha portato la mia musica, ha vita propria ormai e a volte mi sento come se io fossi solo un suo passeggero.