Ricordo benissimo il giorno in cui ho incontrato, in un negozio di Bologna, la mia copia di Love Will Tear us Apart. Stavo rovistando tra gli album, sfogliando alla “J” di Joy Division, quando mi sono imbattuta in una foto vista mille volte. Il font, un’impercettibile cornicetta bianca su sfondo nero. “Questo disco deve essere mio”, ho pensato – e non certo per il suo valore materiale.
“Love Will Tear us Apart” è una profezia, una malinconica predizione, una descrizione viscerale e autentica. Scolpisce su pietra una incontestabile verità di fatto. Quando la band la registrò, nel lontano (ma non troppo) 1980, era sulla cresta dell’onda, sicura promessa della scena post-punk inglese. “Unknown Pleasures” aveva lasciato il segno su una generazione di ascoltatori, e ci era riuscito attraverso infinite ombre e sentimenti tanto a portata di mano, quanto celati con maestria.
Ian Curtis aveva una personalità sfaccettata, era come una pietra preziosa: a seconda della luce, poteva brillare enormemente, ma sapeva anche rendersi buio fino a sparire. Difficile capire come fosse davvero soltanto dai filmati dell’epoca: lo si può immaginare e questo, probabilmente, ha contribuito a creare intorno a lui una irraggiungibile aura fatta di chiaroscuro e mistero.
Era un frontman, non c’è dubbio. Trovava la musica e la aiutava a venir fuori, plasmandola attraverso le parole. La prima scintilla melodica di Love Will Tear Us Apart era partita da Peter Hook. Ian la sentì e iniziò a guidare gli altri, dando spunto per percussioni e chitarra, unendo tutto con i testi. Dal punto di vista del suono, il brano sembrò abbracciare un mood diverso rispetto ai precedenti, quasi ottimista, con quel suo ritornello in crescendo. L’anima dark wave, però, era giusto dietro l’angolo, appena coperta da un’apparenza fatta di tinte stranamente pop. Basta sentire le parole, un inno alla condizione più umana di tutte.
Conosciamo bene la storia persona di Ian Curtis, il fallimento del matrimonio e il suo tormento interiore. Era uno spirito sensibile, ce l’hanno sempre raccontato come tale, un uomo tormentato, carico di nubi e capace di cogliere tutte le sfumature più oscure della nostra esistenza.
But love, love will tear us apart, again
L’amore ci farà a brandelli, cantava ma, in realtà, un verbo al presente sarebbe stato più che adatto. Non è qualcosa che si fa attendere. Love Will Tear us Apart non è solo una canzone: è una dimensione “altra”, fatta di voce, in una perfetta esecuzione che ti fa sentire la tristezza sulla pelle. È struggente, ma in un modo accogliente.
Se c’è una canzone così, allora, c’è qualcun altro che prova ciò che provi tu. È confortante.
La cosa incredibile è che, almeno in un primo momento, i Joy Division non furono affatto convinti della loro Love Will Tear Us Apart che, invece, conquistò totalmente Martin Hannett. Hannett si dedicò anima e corpo alla registrazione, iniziata nel marzo del 1980, che sfociò in una ricerca di perfezione maniacale. Il risultato – che conosciamo bene – finì per piacere anche alla band.
E ne divenne un’icona, complice anche uno straziante destino.
Il videoclip ufficiale, nato come un filmato amatoriale, mostra i Joy Division durante una sessione di prove, ai T.J. Davidson Studios. Si pensava, in quei momenti, a tutto quello che avrebbe portato il futuro, a cominciare da un nuovo video, uno vero, senza quei contorni così sfumati. E invece no. Non ci fu nulla del genere, perché Ian Curtis si tolse la vita poche settimane dopo. “Closer” uscì a due mesi esatti dalla sua morte, diventando un testamento spirituale, un’analisi tremendamente sincera di un uomo che ha deciso di andarsene troppo presto.
Love Will Tear Us Apart è una ferita sempre aperta. Alle volte ci si scorda che è lì, ma periodicamente torna a bruciare. È qualcosa che siamo tutti, volenti o nolenti. Non è romanticismo da quattro soldi, è lucida analisi dell’esistenza. L’amore, perfino nella sua forma più felice, ci fa a brandelli. Ci lascia in pezzi, come tutti i sentimenti più profondi e sinceri. Il fatto che, però, lo faccia again and again (cioè ancora e ancora), è fondamentale: quei pezzi sanno anche rimettersi a posto, in un modo o nell’altro.
L’amore distrugge, l’amore crea – e viceversa. Lo fa di continuo. È una storia più vecchia del mondo stesso.