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Iosonouncane @ Villa Ada (Roma, 23/Luglio/2021)

By luglio 24, 2021 No Comments
iosonouncane @ Villa Ada

Jacopo Incani ha un gran talento. Personaggio schivo, riflessivo e affascinante come la terra sarda che gli ha dato i natali, ma anche concreto e propositivo come la Bologna che lo ha adottato dai tempi dell’università. Il suo percorso artistico inizia con gli Adharma, band con cui incide l’EP “risvegli” nel 2005 e l’album “Mano ai pulsanti”, rimasto inedito fino al free download del 2011. Con il suo progetto solista Iosouncane ha pubblicato tre album in poco più di dieci anni, con cui ha ridefinito il concetto di cantautore elettronico. Di fatto ne ha coniato una personale interpretazione con il sorprendente esordio de “La macarena su Roma” nel 2010, sublimandolo con l’affermazione di critica e pubblico avuta con “Die” nel 2015 e ampliandolo, ma anche distansiandosene, con la visione globale e coraggiosa di “Ira”, uscito nel maggio di quest’anno. Quest’ultimo, pubblicato con un anno di ritardo rispetto a quanto previsto a causa della pandemia, è un mastodonte di oltre cento minuti e racchiude in un triplo vinile e doppio CD visioni e suggestioni di ampio respiro internazionale.

Partiamo dal linguaggio ad esempio. Il classico cantato in italiano viene sostituito da una lingua inventata dall’autore, che mischia influenze italiane, francesi, tedesche, inglesi, spagnole e arabe, risultando ermetica e difficilmente comprensibile, anche perché filtrata nel mix con profondi effetti reverberati. La musica è densa e stratificata. Brani lunghi e dilatati in cui espone un concetto di psichedelia ampio e moderno, che pesca nella trance, come nella wave e gioca con l’occulto e l’esoterismo, la tribalità e le derive etniche, il folk e la sperimentazione “industriale”. Un disco ostico e necessario, che ha ricevuto un’accoglienza incoraggiante sia dalla critica (ottime recensioni anche all’estero), che dal pubblico (le vendite sono state assolutamente sorprendenti) e si candida a ragione tra le migliori uscite di quest’anno.

L’evento a Villa Ada è andato sold out in pochissimo tempo. Le mille sedute presenti nell’area concerto si riempiono già prima dell’esibizione del gruppo spalla e l’attesa è tangibile. Vieri Cervelli Montel sale sul palco alle 21:45 con la sua chitarra acustica e la sua voce gentile, accompagnato da Nicholas Remondino alla batteria e alle percussioni e da Luca Sguera al pianoforte elettrico. Il suo set consiste in una mezzora di cantautorato al limite tra free form e sperimentazione, dai toni garbati e delicati, con un occhio alla lezione impartita dai Radiohead. Brani di buona fattura e dal mood onirico e introspettivo, che culminano nell’esecuzione finale di “Almeno tu nell’universo” (esatto, proprio quella lì) in una versione davvero notevole, soprattutto nel finale dal sapore impro jazz. Il cambio palco è veloce e Iosonouncane è on stage qualche minuto dopo le 22:30. Le esibizioni in full band vengono rimandate al tour invernale e per l’estivo trova spazio la formazione in trio.

Oltre Incani ci sono Amedeo Perri e Bruno Germano, tutti alle prese con synth, macchine elettroniche di vario genere, sequencers, drum machine, campionatori e altro che, vista la distanza dal palco, c’è concesso solo d’intuire. I tre sono disposti uno a fianco all’altro su una grande pedana nella parte frontale della platea. La scena è molto minimale e abbastanza buia. Le luci sono poche e usate con parsimonia. Abbiamo sei strisce led verticali disposte a cerchio, un paio orizzontali, qualche motorizzata laterale e poche altre dall’alto delle americane. I tre musicisti vengono illuminati da dietro e dalle spalle in giù, creando un effetto molto suggestivo. Le coordinate musicali sono le stesse del disco appena pubblicato, ma se possibile, risultano ancor più efficaci. Il flusso psichedelico è continuo e senza sbavature o cali di tensione.

Quando sembra scemare, sa ripartire di slancio ed è capace di avvolgerti completamente e di trascinarti in un vortice cerebrale immersivo e dirompente. Sinceramente anche l’obbligo di stare seduti non si rivela del tutto deleterio, anzi, vista la forte componente immaginifica dei suoni, con il giusto approccio, chiudendo gli occhi, sembra di stare persino al cinema. Il pubblico reagisce composto ma partecipe, agitandosi quanto possibile sulle sedie o anche semplicemente accompagnando il ritmo con l’ondeggiare delle teste. Le pause sono minime e le parole tra un brano e l’altro praticamente assenti. Eppure l’interscambio di energie che si crea tra palco e sala è evidente. Tutto arriva diretto alla mente e allo stomaco degli spettatori. La setlist deriva quasi totalmente dall’ultimo disco, “Buio” e “Tanca” sono le uniche concessioni al passato, ben inserite nel presente e proiettate nel futuro. Così come lo è l’intera esibizione, che chiude cento minuti d’urgenza espressiva, con una versione epica di “Hajar”, assolutamente devastante. Finisce così, come se avessero staccato la corrente di colpo. Non c’è spazio per il bis e comunque non ce ne sarebbe stato motivo. Le luci si accendono e la gente inizia lentamente ad alzarsi. Le espressioni intorno sono varie, alcune stupite, altre frastornate, ma tutte visibilmente soddisfatte.

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