Abbiamo incontrato Dario Mangiaracina, cantautore e mente pensante del progetto musicale “La rappresentante di Lista” insieme a Veronica Lucchesi, in un momento che li vede reduci da un imponente tour che li ha visti percorrere nel 2019 tutto lo Stivale. Si è parlato di tour, nuovo disco ed esperienze collaterali.
Ecco cosa ci ha detto.
Siete in giro da tanto tempo e praticamente non vi siete mai fermati. La mia prima domanda quindi è: come state?
«Bene! Tutte le attività a cui ci siamo dedicati sono attività in cui si spendono tante forze, ma come spesso accade nell’ambito artistico performativo, sono situazioni che ti restituiscono anche tanta energia. Certo, ci sono anche attimi di stanchezza dovuti ad un susseguirsi di situazioni ed impegni a cui stare dietro. Però io mi trovo molto peggio in situazioni di stallo, più difficili da sopportare mentalmente, rispetto a momenti di grande attività in cui si devono fronteggiare diverse esigenze. Anche il resto della band, Veronica per prima, mi sembra abbastanza in linea con questa posizione. La parte difficile verrà dopo questo finale di tour verso marzo e aprile (l’intervista è stata fatta prima dello stop a tutti gli eventi pubblici, ndr), dove incominceremo a ragionare su tutto il materiale nuovo».
Quindi state già lavorando a dei nuovi brani?
«Abbiamo cominciato a buttare giù dei testi e a ragionare su delle idee più programmatiche che reali, più in termini di immaginario sonoro che di racconto lirico».
Mi pare di capire che vi state concentrando di più sulla musica.
«Sulla ricerca dei suoni, in particolare. Stiamo provando ad immergerci nel territorio e di ragionare su una parola che dice tutto e non dice niente: mediterraneo. Intendendo mediterraneo come meridione del mondo, dell’Italia. Anche se è un classico decidere di intraprendere una strada e alla fine del percorso rendersi conto che se ne è percorsa un’altra. Fa parte del gioco».
Puoi anticiparci qualche idea? Avete dei modelli di riferimento?
«Io personalmente ho in mente di iniziare a fare una serie di campionamenti di musicisti locali e crearmi una banca dati di suoni alla quale potere attingere per poi andare a miscelare le suggestioni suscitate da questo tipo di sonorità organiche ed acustiche a tutto ciò che è stato La Rappresentante di Lista fino ad ora, soprattutto negli ultimi due dischi. E quindi ai synth e alle batterie elettroniche».
La vostra di fatto è stata una evoluzione sonora che non si è mai fermata. Dal duo degli esordi, alla svolta elettronica di “Bu Bu Sad” fino alla commistione trasversale di “Go Go Diva” e ora questa sterzata verso la musica mediterranea.
«Succedono tante cose dall’uscita di un disco fino all’inizio della lavorazione del successivo. Ci sono i tour, ci sono le nuove uscite discografiche, ci sono nuovi incontri. Cose che in qualche modo ti condizionano e ti cambiano. Anche l’ascolto del disco da parte del pubblico ti cambia. Un disco una volta uscito viene completamente stravolto dall’ascolto del pubblico. Nel momento in cui il pubblico lo recepisce, lo digerisce e lo ricondivide accostandolo a determinate parole e a determinate immagini, di fatto effettua una nuova scrittura del disco, del tuo lavoro».
In questa vostra continua ricerca creativa, a livello discografico, avete mai incontrato degli ostacoli? Le regole del mercato spesso si affidano a logiche più pragmatiche…
«No, l’etichetta ci ha sempre supportato. Anzi, questa continua ricerca di consapevolezza a livello artistico ci ha permesso di capire quali carte potere giocare a livello di mercato. Penso che l’artista debba sì perdersi nella propria fantasia e immaginazione, nella meraviglia e nello stupore della creatività, però allo stesso tempo un lato fondamentale cha abbiamo sempre coltivato è quello dell’autocognizione. Capire chi siamo. Penso che oggi sia un parametro fondamentale per un artista».
E “artista” è l’appellativo che più vi si addice. Avete fatto praticamente tutto: teatro, musica, televisione… Vi manca solo un libro…
«Ci stiamo pensando! I libri poi oggi li pubblica chiunque…» (ride).
Come è nata questa vostra scelta di “allontanarvi” dalla figura di musicisti in senso stretto per dedicarvi ad altro? Mi riferisco in particolare all’esperienza televisiva de “Il Cacciatore”.
«Non abbiamo deciso noi di avvicinarci a “Il Cacciatore”, ma “Il Cacciatore” si è avvicinato a noi. Veronica è stata contattata da un agente casting che cercava un’interprete per il ruolo di una cantante avente una relazione con il fratello di Giovanni Brusca. Veronica, da perfomer quale è, ha sempre coltivato questa passione per la recitazione e da un po’ di tempo aveva incominciato ad immaginarsi una possibile strada in quel senso. Credo che in questa fase la possibilità di avere un ruolo particolarmente aderente a quello che lei fa nella vita, ovvero la cantante, fosse da cogliere, con la spinta in più di potere riarrangiare per l’occasione dei brani di “Go Go Diva”».
Saranno mai pubblicate queste versioni?
«Ci stiamo ragionando. Sono versioni concepite esclusivamente per la serie tv. È un progetto discografico che nasce e muore con “Il Cacciatore”. Non amiamo molto le uscite, per così dire, a casaccio. Se dovessero decidere di aggiungere i brani ad una ipotetica versione deluxe della serie, ne saremmo ben lieti. Escludiamo che possano essere aggiunte come tracce extra al nuovo album, perché sarebbero molto distanti in termini di sonorità».
Parliamo della dimensione live. Siete reduci da un tour de force. Cinquanta date in giro per l’Italia. Vedendo il nuovo calendario, ciò che colpisce è un numero ridotto di date a fronte di location più grandi.
«È avvenuto tutto gradualmente e in maniera naturale. Per quanto riguarda la data di Milano, ad esempio, venendo da due sold out in una location più ridotta, la scelta dell’Alcatraz è venuta da sé. L’idea di confrontarci con club dalla storia importante ci eccita. Abbiamo settato lo spettacolo del prossimo tour, che sarà completamente rivisto e ripensato rispetto al tour del 2019, pensando anche ai nuovi contesti con cui ci andremo a confrontare. Stiamo provando dei nuovi movimenti di scena sia qua a Palermo che nelle Marche, in una sala prove isolata in una campagna sperduta, pensati per palchi più grandi. Saranno più ampi e Veronica avrà anche un cambio d’abito».
Che novità ci saranno?
«La scaletta conterrà tre canzoni diverse. L’allestimento sarà completamente diverso e i costumi saranno curati da “Casa Preti”. Ci troviamo molto bene con Mattia Piazza, condividiamo la sua estetica e la sua etica rispetto agli abiti. L’idea che siano abiti non classificabili per genere come la nostra musica. Abbiamo in qualche modo fatto pace con il nostro essere anche attori o comunque performer. In passato, quando ci presentavano, eravamo sempre “ i due attori prestati alla musica” e questa cosa un po’ ci rompeva i coglioni, soprattutto dopo la pubblicazione di due dischi. Ci dispiaceva non essere raccontati come band».
Siete sempre aperti alle collaborazioni con altri artisti. Ce ne sono altre in cantina?
«Sì. La potenza interpretativa di Veronica ha colpito l’attenzione di molti artisti che hanno voluto dare vita a collaborazioni: Dimartino, Giovanni Truppi, Rancore. È uscito da poco un duetto con Giovanni Gulino in occasione del suo nuovo album. Abbiamo accolto favorevolmente la possibilità di queste partecipazioni per stima verso gli artisti che ce lo hanno richiesto. In ambito discografico spesso sono anche delle buone occasioni per temporeggiare e colmare degli attimi di vuoto tra una uscita e l’altra. Nel nostro caso sono successe molte altre cose, come l’inserimento di “Questo Corpo” nella soundtrack di “The New Pope”».
Come è avvenuto il contatto con Paolo Sorrentino?
«Come con la produzione de “il Cacciatore”, è stato Paolo Sorrentino a venire da noi. Ci ha mandato un mail attraverso l’agenzia di management e la cosa ci ha molto lusingati».
Parliamo dell’esperienza sanremese. E’ destinata a rimanere una parentesi o non escludete che possa ripetersi?
«Io ho sempre detto, anche in tempi non sospetti quando non avevamo le carte in regola per partecipare a Sanremo in termini di numeri e notorietà, che ci sarebbe piaciuto arrivare a Sanremo come ospiti. E alla fine così è stato».
E la possibilità di partecipare alla gara?
«Noi in qualità di ospiti abbiamo vissuto dinamiche diverse da quelle che hanno attraversato i cantanti in gara. Eravamo tutelati dal fatto di essere ospiti e che la canzone in gara non era la nostra. In un certo modo eravamo protetti dalla scrittura di un’altra persona. Io amo il Festival di Sanremo, lo amo come categoria. Penso che sia interessante vedere sviluppare all’interno del Festival spunti di discussione come nel caso delle dichiarazioni di Amadeus sulle donne. Se non ci fossero manifestazioni di questo genere non ci sarebbe spazio per riflessioni di questa portata. Anche perché l’effetto di una polemica di questa entità è stata la partecipazione di una buona parte del panorama femminile musicale, come Elodie, Levante, Maria Antonietta e noi stessi. In futuro, se riterremo che il momento sia giusto per noi e per una nostra canzone, saremo pronti a salire di nuovo su quel palco».
– Questa intervista è stata fatta il 2 marzo di quest’anno, prima dell’emanazione del D.P.C.M che, come noto, ha cancellato tutti gli eventi pubblici per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Il tour de La Rappresentante di Lista è quindi sospeso. Attendiamo Dario e Veronica sul palco alla fine di questo periodo, per potere godere ancora una volta della loro musica e della loro creatività. In una parola, della loro arte –
Ph. Manuela Di Pisa