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Hanni El Khatib, “Flight”: bricolage schizofrenico

By maggio 29, 2020 No Comments

Innovative Leisure è un’etichetta discografica californiana attenta alle nuove sonorità del panorama alternativo, fondata dall’eclettico filippino-palestinese Hanni El Khatib. Lui è un artista musicalmente sfaccettato, mai fermo davanti ad un genere. Il bricolage indie-alternative è il suo marchio di fabbrica. Non sai se prenderlo sul serio o meno, decretarne la genialità o la furbizia. Fatto sta che il nostro è giunto al quinto album, “Flight”, naturale seguito del corposo “Savage Times”, uscito nel 2017.

Anche se il The Guardian lo ha proclamato come il nuovo Joe Strummer non ci fidiamo di certi commenti che lasciano il tempo che trovano. La carriera di Hanni El Khatib ha visto alternare album così così dove spesso la musica appariva trita e ritrita. Alla metà degli anni ‘10, in piena fase depressiva, ha deciso di lasciare la musica e di ritornare all’altra sua grande passione, il design di skateboard, che gli ha permesso di superare la crisi e di ritornare a fare dischi a ritmi più lenti, senza pensare ai tour.

La proposta musicale di Hanni El Khatib è quella di apparire facile al primo ascolto ma anche poco convenzionale. La mezz’ora scarsa di questo “Flight” è, rispetto agli altri lavori, molto interessante, vuoi perché il taglia e cuci apparentemente casalingo e un po’ lo-fi si fa apprezzare, vuoi perché sa confezionare buon pop. Schizofrenico come il miglior Beck, in “Alive” trova il suo tormentone, novello gatto Silvestro sconfitto e rotolante giù per le scale, come nel videoclip di Daniel Pappas.

Se Beck preparava il suo minestrone con ingredienti di base presi dal grunge e dal rap, Hanni El Khatib attinge dal rock degli anni zero, nato alternativo e morto conformista, prendendo spunto dai revival garage e dalla neo psichedelia, aggiungendo qualche spruzzatina di nuovo rap. Lo diciamo subito, la varietà musicale del nostro può destabilizzare, spesso troppo eterogenea e frammentaria.

Ma è fatto così e questo “Flight” appare il più coerente ed interessante dei suoi album. Breve e conciso, claustrofobico (“Stressy”), lisergico (“Room”), politico (“Leader”) e innamorato pazzo (“Harlow”). Oltre ad “Alive”, l’album colpisce nel segno con la malinconia vapor wave di “How”/“Detroit”, tutta attorno ad un giro di synth ed ai perché una storia d’amore possa finire senza preavviso. Chiude l’album una sorta di personale omaggio ai Beatles di Revolver, “Peace”, che per l’ultima volta cambia rotta ad un viaggio che non ammette il concetto di normalità.

Il “volo” di Hanni El Khatib lo vede in compagnia di Leon Michels in fase di produzione, che rende pregiato e di spessore l’intero prodotto, seppur l’identità che ne viene fuori è bizzarra ma credibile. La forma canzone non segue le regole standard e la durata è spesso ridotta all’osso. Quasi ogni traccia è collegata alla successiva, con rimandi e contrasti. In ogni traccia ci sono stacchi improvvisi, cambi di costume. Il risultato è stimolante, difficile da catalogare, promettente e un po’ folle.

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