Qualche anno fa, Patti Smith tenne un concerto al Teatro di Verdura di Palermo. Dopo un po’ di canzoni, si rivolse al pubblico, che fino a quel momento era rimasto seduto e composto sulla sedia, invitandolo ad andare sotto il palco, ad avvicinarsi. C’era troppa distanza tra lei e la platea.
Quella richiesta così spontanea diede voce a un concetto semplice ed essenziale: uno show dal vivo non si può soltanto ascoltare, si deve vivere.
Quando la proposta dei concerti drive-in si è materializzata davanti ai miei occhi, ho pensato che si trattasse di uno scherzo. La foto di una cantante che si esibisce davanti una platea di auto ben parcheggiate era troppo paradossale per essere vera. Eppure lo era. Di fatto, non è rimasta soltanto una proposta, perché gli eventi di questo tipo, in alcuni Paesi, sono già diventati realtà.
Nel bel mezzo di una pandemia che ha preso il concetto di normalità e lo ha fatto a brandelli, il mondo dell’intrattenimento è rimasto sospeso nel limbo del “non lo sappiamo“. Pochi i dibattiti, poche le voci, poche le indicazioni, a fronte di una produzione di meme che basterà per i prossimi duemila anni.
Stando alle più recenti ipotesi (i p o t e s i) del comitato Tecnico Scientifico della Protezione Civile, si potrebbe tornare a teatro, in un cinema o in un sala da concerto nella prima settimana del giugno 2020, naturalmente con una serie di restrizioni e misure di sicurezza. Ad esempio, il tetto massimo di persone presenti in un luogo chiuso non dovrebbe superare il numero di 200, mentre all’aperto, il massimo consentito sarebbe di 1000 persone. In entrambi i casi, il numero comprenderebbe gli spettatori, gli artisti e tutto il personale tecnico.
Parlare di soluzioni concrete non è facile ed è evidente che le dirette su Instagram non bastano (diciamo anche che non se ne può più), ma questa storia dei concerti drive-in fa acqua da tutte le parti, e non soltanto per una questione un po’ romantica ed emotiva. Ci sono anzitutto le faccende meramente pratiche da tenere in considerazione.
Forse gli artisti con un maggiore successo commerciale potrebbero anche esibirsi in un parcheggio con un palco, ma dubito del fatto che cantanti e musicisti che riempiono i club potrebbero rientrare in quello stesso circuito. Pensare alle logiche di un mercato di quel tipo non è facile ma, a occhio e croce, si presta meglio a un determinato tipo di musica.
E non c’è neanche bisogno di dire che le classifiche non sono sempre un indicatore di qualità.
Lascio le valutazioni di tipo economico e organizzativo a chi lavora nel settore, anche se ho il forte sospetto che gli aspetti negativi non siano pochi. Mi limito qui a pensare, ad esempio, a tutte quelle figure professionali che sono indispensabili per la parte tecnica di un concerto dal vivo.
Da minuscolo elemento di una folla indistinta che si chiama pubblico, posso solo constatare che i concerti vivono di socialità, di interazione, di contatto. Non importa se davanti c’è sempre qualcuno altissimo, se ti spintonano, se per tutto il tempo una coppia decide di limonare proprio accanto a te (mi è successo davvero), se cade giù una pioggia torrenziale o se c’è un sole che picchia in testa come uno schiaffone.
La ricompensa, cioè quella precisa emozione che ti regala uno show dal vivo, vale molto di più.
La modalità drive-in appartiene al cinema, un tipo di intrattenimento che si vive in un modo completamente diverso. Per vedere un film si sta comodamente seduti e fermi, in silenzio. Non si sente il bisogno di gesticolare, applaudire, cantare, ballare, abbracciare, baciare e urlare. In macchina puoi fare un sacco di cose (principalmente guidare e inveire contro il prossimo), ma tra queste non rientra la visione di uno show.
Così si uccide l’essenza stessa di un concerto, che non può esistere senza partecipazione condivisa. Tanto vale andare a nel parcheggio del supermercato e accendere la radio.