Dopo 3 anni dall’acclamato debutto, Colombre, fedele al mostro marino del racconto di Buzzati a cui deve il nome, torna a fendere le onde sonore del panorama musicale italiano con “Corallo“, anche questo un titolo dai sentori marini.
«Non avevo un titolo preciso – ha detto, parlando del suo disco – ma c’era questa parola che, durante la scrittura, ogni tanto riaffiorava come a volermi suggerire il senso più nascosto delle canzoni. Il corallo lo associo ai rapporti interpersonali che racconto nel disco; misteriosi, profondi, difficili da avvicinare, da trattare e preservare con più delicatezza possibile, data la loro complessità e bellezza».
In questi anni Giovanni Imparato non ha solo lavorato a questo nuovo album, ma ha fatto da produttore all’ultimo album di Maria Antonietta, compagna anche nella vita e che qui ritroviamo coautrice della stupenda traccia finale, e ha affiancato Calcutta come chitarrista nel suo lungo tour italiano ed europeo. Proprio con Calcutta e altri nomi del variegato calderone della musica indie, o alternativa che dir si voglia, italiana Colombre si ritrova a fare i conti.
Fedele allo stile che gli aveva portato una candidatura al Premio Tenco come miglior opera prima con “Pulviscolo“, anche in questo secondo lavoro ritroviamo ironia e cinismo come sfondo a delle tracce che raccontano l’amore, la fine dello stesso e altri piccoli dilemmi che tormentano le nostre anime, ma sempre con delle sonorità simil-allegre e scanzonate che sembrano donare leggerezza anche alle storie più tristi.
È proprio la title track a dare avvio al disco – come già successo in “Pulviscolo”, che sia una sorta di piccola scaramanzia? – e già troviamo uno degli stilemi che caratterizzeranno per intero “Corallo”. In un momento così difficile, come quello che stiamo vivendo, la citazione a Cohen “La luce entra dove c’è una crepa” ci indica che per quanto possa essere complicato il passato, con le ferite e le cicatrici che immancabilmente ci ha lasciato. È proprio da questo che dobbiamo ripartire per scoprirci nuovi e rinascere, tanto nei rapporti più intimi e personali quanto nel nostro confrontarci con la comunità nella quale viviamo, oggi con maggior forza e tenacia alla luce del senso di solidarietà che permea queste ultime settimane.
Ascoltando “Non ti prendo la mano” non possiamo non pensare ad un rapporto ormai al capolinea, la fine di una storia che lascia sempre quel sapore dolceamaro, per quello che ormai è finito, ma con la consapevolezza che il futuro ci riserverà ancora la dolcezza di un nuovo rapporto.
Se anche a voi è capitato di non riuscire ad esprimere i vostri sentimenti in maniera schietta ed esplicita, ma li avete lasciati covare come tizzoni ardenti, allora potrete ritrovarvi nei versi di “Terrore”: una esortazione, un grido ad andarsi a prendere l’amore che ci spetta. D’altronde qualcuno aveva già scritto: “And in the end the love you take is equal to the love you make”.
Crudele” è una lucida e consapevole presa di coscienza degli errori commessi, una preghiera dolce e intima da rivolgere alla propria amata.
In “Per un secondo” la bellissima citazione di “Gianna” di Rino Gaetano costituisce il fulcro del messaggio che Colombre vuole farci arrivare: spronarci ad essere sempre noi stessi, a non lasciarci offuscare da altre figure, che siano anche le più care, nonostante a volte la tentazione di nascondersi e non mettere in mostra tutti gli aspetti del proprio carattere sia quasi rassicurante e ci faccia sentire a nostro agio.
Bisogna uscire dalla propria comfort zone e trovare la forza e il coraggio di buttarsi anche solo per un momento.
Una scrittura a guisa di matrioska si intravede nella struttura di “Mille e una notte” come nella celebre raccolta di racconti di origine mediorientale nel quale ogni immagine ne racchiude a sua volta un’altra e così via, quasi a formare un piccolo scrigno con all’intorno una preziosa gemma. Il tutto è chiuso da una metafora già cara a Colombre: quella del deserto, che però questa volta non è un luogo di rinascita da dove ripartire grazie ad un nuovo oceano (“Pulviscolo”), ma una mera distesa di polvere.
Il disco si chiude con due tracce. “Arcobaleno”, uno dei singoli di lancio dell’album, è forse la traccia più simile all’opera prima. La splendida “Anche tu cambierai” scritta, come dicevamo prima, a quattro mani con Letizia Cesarini (aka Maria Antonietta), con il suo sound fra gospel e spiritual sembra farci tuffare negli anni Sessanta e cela in sé quello che è il motto di tutto quest’ultimo lavoro: la spinta a cambiare, anche tuffandosi in un mare non del tutto conosciuto ma pieno di creature fantastiche ed affascinanti come, appunto, il corallo.