Cinque brani, diciotto minuti, un inno, aria fresca.
La voce narrante di Gea Politi (direttrice e editrice di Flash Art), la Milano da bere, l’individualismo, la creatività, la follia, la libertà, questa città dove tutto sembra permesso a chi è capace di creare, stupire, alzare l’asticella, Manifesto è il primo pezzo di un EP che rivela un suono capace di accogliere tutte le sfumature del clubbing milanese e ridiffonderlo, perché tutti possano servirsene, perché ne possano cogliere le suggestioni più notturne, in una serie fluviale, mistica, di parole ed idee. Non sei mai stato al Plastic, ma ascolti Club Domani e puoi visualizzare Stephanie Glitter che, in Poetessa Maledetta, con la sua voce splendente, suadente, avvolgente, debordante, racconta di come dalle contraddizioni solo apparenti nasca il senso delle cose, di come ci sia un erotismo che arriva a trascendere i corpi e che si installa sulle finestre squadrate del Pirellone, è un avanzare sensuale e pervasivo, ogni parola appare misurata, calata al momento giusto, dal cielo delle stelle fisse del sabato sera.
Gli altari del Plastic sono votati a Sergio Tavelli e Andrea Ratti, creatori di questo ultramoderno concentrato di interzona sonora, casse dritte e completi gessati di sintetizzatori che guardano a Hard Ton, ad Alan Dixon, ad un’elettronica divertente, folle, matta, musica creata nel periodo terribile del lockdown, in Lombardia, da chi vive e lavora per il tempio del clubbing europeo. Uno sforzo che è già uno stimolo a creare, a liberarsi, da ansie e angosce dell’oggi. My Business è l’inno che stavamo aspettando, ho ballato con le mie cuffie a letto ieri notte, quando, appena uscito il disco, sono arrivato a sentire il pezzo, mi sono ripreso per cinque grandiosi minuti le sensazioni della pista piena, della gente, della festa, della calca, della pelle, e l’ho fatto ascoltando una voce che scandisce “My Gender not your Business!”, Vivelips e La Persia, umbratile, sconvolgente, creatura lunare, hanno ricucito momentaneamente lo strappo costituito da questa cattività domestica, con un orlo che è il sogno di tornare a ballare.
La voce di AiryS (l’alter ego dance della cantante Syria) è una di quelle sensazioni che sembrano dimenticate e che poi, una volta ritrovate, parlano di una gioia incontenibile, così in A che ora l’Amore il cantato scandisce un ritmo dritto ma scanzonato, da serata al varietà, un incalzare di folie. Quando due artisti sanno concentrare in pochi minuti quello che bisogna dire per fare un punto del momento storico, e lo fanno consci del loro retroterra culturale, musicale, sociale, preoccupandosi di richiamare alla memoria Dino Buzzati al Corriere della Sera, iniziando un Outro ricordandoci che prima viene l’umanità e poi il sistema, allora bisogna scrivere chapeau alla magistrale tempestività di un disco che non ha una nota fuori posto, che risponde ad un’esigenza ineluttabile dell’oggi: la notte, il club.
Il Plastic, tutta la produzione culturale legata a questo luogo leggendario, dalle foto, al design dei party, alla musica di Club Domani, ancora una volta, specialmente per chi vive lontano da Milano, finiscono per essere quel birth of the cool della scena del clubbing europeo, cui rivolgere lo sguardo per un altro bacio, per vedere non l’inizio della rivoluzione, ma il corso stesso dei tumulti, nel nome di un suono rotondo che parla di notti milanesi, di file al bancone, di passeggiate su marciapiedi grigi, sotto cieli brumosi, levigati dalla bella luce delle insegne al neon di un club dove essere esattamente ciò che si vuole, come si vuole.