Clams Casino è il progetto del producer Michael Volpe, del New Jersey, che unisce cultura hip hop ed elettronica. Considerato il pioniere del “cloud rap”, se ne sente parlare per via di celate produzioni interessanti e innovative, vedi ad esempio FKA Twigs in “LP1”.
Il “cloud rap” è un micro genere nato in America con il boom dello sharing musicale online, da MySpace a SoundCloud, che ha portato intere generazioni a misurarsi con il proprio talento, a sperimentare nuovi linguaggi e nuove modalità di fruizione, nonché un diverso audience. In parole povere il “cloud rap” è un mix di basi rap, campionamenti trap resi irriconoscibili, riverberi in quantità e un risultato finale che evoca universi paralleli, un po’ malinconici ma affascinanti. Non spaventatevi, se mal sopportate l’Auto-Tune qui non ne sentirete proprio, irriconoscibile per l’utilizzo di innumerevoli altri effetti.
Ambient, rap, chillwave, psichedelia sono alcuni dei generi che vengono centrifugati da Clams Casino. Ascoltatevi il suo album più rap-oriented “32 Levels” o recuperate gli esperimenti di “Rainforest Ep” se preferite i flussi dilatati di campionamenti.
A qualche mese di distanza dall’uscita del breve e strumentale “Moon Trip Radio”, di cui è testimonianza grafica questo sito web, esce “Instrumental Relics” che raccoglie il meglio della produzione, ormai decennale, del producer americano. La prima cosa che ti cattura è la misteriosa immagine di copertina, con quel doppio spicchio di luna in evidenza. Subito dopo viene la scaletta che assicura un tuffo nel mondo di Michael Volpe.
Innanzitutto i riferimenti sono i quattro “Instrumental Mixtape”, autoprodotti e usciti dal 2011 al 2017, l’Ep “Rainforest” del 2011 e l’inedito di grande effetto “I’m The Devil”.
Ma cosa sono questi “Instrumental Relics”? Clams Casino mette insieme i sample e le basi che ha prestato ad altri artisti, contribuendo al loro successo. Vedi la bella “I’m God” utilizzata dal rapper Lil B, “Caves” pensata per “The Fall” di The Weeknd o “Numb”, prodotta per “Demons” di A$AP Rocky.
Il risultato è rap senza parole, deframmentato, scomposto in ogni sua parte, in balia di refrain efficaci e di beat mai banali.
In conclusione, potete limitarvi a pensare che “Instrumental Relics” sia solo un disco di 15 basi elettroniche. Ma potreste anche capire che queste tracce si reggono in piedi da sole. Decisamente.