Se la musica venisse rappresentata come una grande festa, lo shoegaze sarebbe l’invitato che preferisce stare in un angolo a vedere gli altri ballare, a metà strada tra un nerd in piena crisi esistenzialista e il Michele Apicella di morettiana memoria.
Nato in Inghilterra alla fine degli anni Ottanta, come costola incrinata di quella più grande corrente catalogata come alternative rock e ben presto schiacciato dai cicloni brit-pop e grunge, sotto l’etichetta shoegaze si riunirono tutte quelle band che vedevano in feedback e riverberi esagerati il proprio marchio di fabbrica, il tutto condito da una buona dose di tonalità minori e una spruzzata di sana malinconia.
Slowdive, My Bloody Valentine, Ride tra i nomi che più significativi, in grado di portare sotto i riflettori internazionali un movimento nato e morto in un brevissimo arco di tempo ma destinato a rimanere. In questa storia già di per sé romantica, i Catherine Wheel sono riusciti a ritagliarsi il ruolo di migliori attori non protagonisti.
Guidati dal chitarrista e cantautore Rob Dickinson (cugino del più famoso Bruce, leader degli Iron Maiden) ed attivi dal 1990 fino ai primi del Duemila, i Catherine Wheel hanno avuto il merito di essere stati tra quei gruppi capaci di meglio interpretare la sintesi tra distorsioni e sonorità più marcatamente pop. “Ferment”, dirompente disco d’esordio, è tutto questo: chitarre infuriate su tappeti di melodie nervose (“Texture”) si affiancano ad episodi più smarcatamente pop ( “I want to touch you”) e a ballad che rasentano la perfezione (“Black Metallic”).
Un lavoro solido e compatto, fluido nel suo svilupparsi, che trasuda tutta l’urgenza ed il piacere di suonare proprio di un’opera prima. Nelle armonizzazioni vocali e ancor di più nell’alternarsi tra distorsione e acustico, non si possono non scorgere quegli elementi che verranno a caratterizzare e rivoluzionare il panorama musicale di lì a poco.
Forse questo loro collocarsi in una sorta di terra di mezzo, l’aver fatto da anello di congiunzione tra il tramonto degli anni Ottanta e la rivoluzione degli anni Novanta, li ha condannati ad una sorta di limbo dai contorni poco marcati.
Negli anni a venire Dickinson e soci non riusciranno ad eguagliare la straordinaria forza di questo esordio, pur con risultati di assoluto rispetto, come nel caso di “Chrome” e “Adam and Eve”.
“Ferment” rimane una pietra miliare da andare a riscoprire o, perché no, a cui avvicinarsi per la prima volta per meglio comprendere da dove viene parte della musica di fine ventesimo secolo ma anche e soprattutto per godere delle sue splendide canzoni.