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Tutto inizia con “Black Sabbath” (1970)

By febbraio 20, 2020 No Comments

In principio furono i Black Sabbath.

Esistono infinite storie che iniziano con queste parole – e sono certa del fatto che siano tutte interessanti. La più importante, però, è quella che parla di un disco datato 13 febbraio 1970. Fu con quel disco che Ozzy Osbourne, Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward codificarono un genere, l’heavy metal, ponendo le basi per innumerevoli capitoli successivi e regalando un’ispirazione fatta di riff monumentali, alienazione, racconti dell’oscuro ed estetica da horror vintage.

L’iconica copertina ritrae la campagna inglese e una donna – Louisa Livingstone – avvolta da un mantello nero. La foto fu scattata da Keith MacMillan con la Aerochrome, pellicola Kodak a colori falsi sensibile agli infrarossi.

Oggi sappiamo che il disco fu uno spartiacque tra ciò che c’era stato prima e quello che è venuto dopo. Lo chiamiamo “capolavoro” e riconosciamo i suoi meriti ma, ai tempi in cui uscì, gli toccò quell’inevitabile destino che accomuna tante intuizioni geniali. Fu, infatti, fatto a pezzi dai critici, primo fra tutti Lester Bangs.

Bangs, che di rado sentì la necessità di essere diplomatico durante la sua carriera, con i Black Sabbath tirò fuori il meglio di sé. Dalle pagine di Rolling Stone, sentenziò: «Come i Cream! Ma peggio». Il tempo, comunque, gli diede torto e Rolling Stone, peraltro, fece ammenda, inserendo il disco nell’elenco dei 500 migliori album di tutti i tempi.

La genesi di Black Sabbath iniziò con quattro bizzarre parole: “Polka Tulk Blues Band”. Questa accozzaglia verbale altro non fu che il primo nome scelto dalla band. Grazie al cielo, il batterista Bill Ward tirò fuori il nome Earth, che non ebbe comunque vita lunga, venendo poi abbandonato a vantaggio del celeberrimo Black Sabbath. La prima canzone scritta dagli Earth fu Wicked World, che gettò le basi per il futuro stile della band, doom e oscuro.

What is this that stands before me?

Seconda creatura degli Earth fu Black Sabbath – la canzone. In quel momento qualcosa cambiò irreversibilmente. Il riff iniziale fece cadere dalla sedia più di un parruccone, perché si trattava della famigerata Triade del Diavolo, meglio nota come Diabolus in Musica. Un tritono talmente dissonante da far pensare, nel Medioevo, che lo si dovesse proibire, perché l’orecchio umano non avrebbe mai provato piacere nell’ascoltarlo. Si narra che ci vollero circa due ore per scrivere la canzone. A scegliere il titolo fu Butler, che volle rendere omaggio all’omonimo film a episodi di Mario Bava. Quando poi, nel settembre del 1969, il manager Jim Simpson insistette affinché il gruppo cambiasse nuovamente nome, sempre Butler suggerì Black Sabbath. E così fu. Piccola curiosità: la pioggia, i tuoni e le campane che si sentono all’inizio vennero aggiunte da Tom Allom e Roger Baim, rispettivamente produttore e ingegnere del suono, durante le fasi di missaggio, senza aver prima interpellato la band.

Nessuno dei Black Sabbath ricorda in che ordine vennero scritte le altre canzoni del disco. Ma è davvero importante saperlo?

Just keep walking spreading his magic

Camminando per la tetra campagna inglese della copertina, si incontra quasi subito uno stregone. Il suono dell’armonica di Ozzy regala sonorità di memoria bluesThe Wizard, il cui titolo avrebbe dovuto essere Sign of the Sorcerer. La stesura del testo, stando a quanto raccontato dalla band, venne influenzata dal personaggio di Gandalf (sì, proprio quello de Il Signore degli Anelli). Non mi soffermerò sulle altre interpretazioni del mago, limitandomi a dire che, secondo alcuni, è in realtà una figura “stupefacente”.

Wall of sleep is cold and bright

Da Tolkien a Lovecraft il passo è breve, come ci insegna Behind the Wall of Sleep. Il testo venne scritto da Butler, che si era addormentato mentre leggeva “Beyond the Wall of Sleep”, un racconto di H.P. Lovecraft.  Si svegliò, scrisse le parole, buttò giù il giro di basso e fece sentire tutto agli altri. Facile, no?

My name is Lucifer, please take my hand

Dalla penna di Butler nacque  anche il testo di N.I.B., un visionario e romantico incontro con Lucifero in persona. Butler volle metterci un po’ di ironia: «Ho sempre sentito storie su persone innamorate che promettono la luna e le stelle alla persona amata – ha raccontato – così pensai che, se il diavolo si fosse innamorato, avrebbe davvero potuto promettere la luna e le stelle; lui ha quel potere». Per quanto riguarda il titolo, si pensò a lungo che stesse per “Nativity in Black” o “Name in Blood”. In realtà era qualcosa di molto più semplice: Nibby – da “pen nib”, cioè “pennino” – era il soprannome di Bill, derivato da una battuta fatta da Ozzy. Così il titolo doveva essere semplicemente Nib, senza punti, ma poi divenne N.I.B..

Don’t you play your games with me

L’inserimento di Evil Woman nel disco, invece, non fu esattamente spontaneo. Si tratta di una cover del brano Evil Woman don’t play your games with me degli americani Crow. Ai tempi era abbastanza diffusa l’abitudine di far suonare ad alcuni gruppi inglesi i più recenti successi americani, in modo che la loro versione uscisse nel Regno Unito prima dell’originale. I Sabbath non furono proprio contenti della scelta: «A essere sinceri, a nessuno di noi piaceva la canzone e non volevamo suonarla – ha raccontato Ward – ma cosa ne sapevamo? Jim Simpson pensava che ci avrebbe giovato, quindi con riluttanza abbiamo accettato». Nonostante quel forte disinteresse, proprio Evil Woman fu il primo singolo estratto.

Peace of mind, feel at ease

Nettamente diversa è la storia di Sleeping Village, una canzone che non ha bisogno di più di quattro righe di testo. Tra tutte è, probabilmente, quella con l’anima più oscura, vuoi per quelle poche parole, vuoi per la presenza dell’armonica spettrale. Avrebbe dovuto chiamarsi “Devil’s Island” ma, alla fine, il villaggio ebbe la meglio sull’isola.

But my feelings were a little bit too strong

A sentir parlare del modo in cui il debutto dei Black Sabbath è nato, pare proprio che nulla potesse andare diversamente. La creatività della band si ritrovò a fare i conti con quella di altri, tanto in Evil Woman, quanto in Warning, che è una cover degli Aynsley Dunbar Retaliation. All’inizio, quando i Sabbath la suonavano da vivo, riuscivano a farla durare anche 30 minuti: “In passato eravamo soliti fare set di tre-quattro ore, quindi andava bene”, raccontò Butler, che di fatto propose il pezzo.

Such a Wicked Thing

Alla fine del disco, in un singolare gioco degli opposti, ci finì, Wicked World. Il suono dei piatti, così ammiccante, è come un cielo apparentemente sereno, squarciato dalle saette della chitarra di Iommi. Un irresistibile riff fa calare l’oscurità, ufficializzata dalla voce di Ozzy, nel racconto di un mondo che, nonostante siano passati ben 50 anni, non è cambiato granché.

La realtà che i Black Sabbath ci presentarono allora, è la stessa di oggi. L’umanità non ha mai smesso di essere annebbiata, circondata da visioni di ogni genere e disillusa. E, anche tra altri 50 anni, sarà esattamente così.

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