Si può sopravvivere al rock & roll? Forse sì, né più né meno di quanto sia probabile sopravvivere alla vita. Questo sembra suggerirci l’ascolto l’ultimo sussulto discografico dei californiani Black Rebel Motorcycle Club un paio di decenni dopo i fulminanti esordi che li attestarono tra i capifila dell’ondata new garage dei tardi anni ’90.
Le giacche di pelle scure e le schitarrate selvagge ben presto diventarono una vera e propria icona fra gli appassionati di garage rock e tra i fan che già avevano frequentato le vicende musicali di band come Jesus & Mary Chain e Brian Jonestown Massacre.
Appena la puntina poggia sul solco l’intro di “DFF” introduce a territori misteriosi, eterei e scuri, ma ben presto le chitarre (sì, quelle chitarre lì che erano un po’ mancate negli ultimi lavori) di “Spook” e della seguente “King Of The Bones” ci riportano subito dove ci eravamo lasciati appena un paio di lustri addietro: sound caldo e compatto, 6 corde graffianti ed eleganti al tempo stesso, voci suadenti, batteria dritta e sincera.
“Haunt” gonfia le sue vele del vento caldo e malinconico che ha già animato le traversate tra le inquiete onde dell’anima di Nick Cave, che di cattivi semi ne ha piantati parecchi da queste parti e stavolta più che mai la band rende omaggio a questo padre nobile.
“Echo” è una ballata formalmente perfetta, ritornello di grande apertura, e un finale che riecheggia il buonismo innocuo dei recenti U2 o Coldplay: il tutto risulta inappuntabile dal punto di vista formale, ma non sono questi sconfinamenti pop che ci aspettiamo dai ragazzacci di “Spread Your Love” e “Whatever Happened to my Rock’n Roll”. Una perfezione bella quanto inutile, e tutto sommato noiosa.
Si riparte con “Ninth Configuration” che accarezza suggestioni psichedeliche su una solida base late 90’s, le stesse venature vengono evidenziate poco dopo da una sognante “Calling Them All Away”, sapori orientali sommersi da reverberi che sembrano non avere fine.
Nella parte centrale del disco le durate dei brani e le atmosfere si dilatano, i BRMC si lasciano andare a cavalcate strumentali in cui ci mostrano che hanno ancora voglia di suonare e di farlo divertendosi, senza rassegnarsi alle nuove esigenze del mercato e del fruitore medio del prodotto musicale: tutto e nel più breve (ed efficace) tempo possibile. No, qui gli ampli si sono scaldati, e c’è da suonare ancora.
“Question of Faith” ci racconta forse meglio di altri brani qual’è il mood generale del disco (“I’m a shattered heart […] I’m the world at night”), le chitarre in questo caso strizzano palesemente l’occhio ai texani Black Angels, ma le linee vocali tornano ad imprimere il tipico marchio di fabbrica BRMC.
“Little Thing Gone Wild” è stato scelto come primo singolo/video del disco: il movimento ondulatorio che si impossesserà del vostro corpo ascoltandola al giusto volume sul giusto impianto rappresenta la migliore risposta al perché sia stato scelto questo brano, in cui per il vero le atmosfere rimangono molto scure, distorte ed a tratti claustrofobiche. Ballate pure, ma senza dimenticare quell’ombra che avete alle spalle, e che sta ballando con voi.
Dopo tanta adrenalina i BRMC spezzano subito l’atmosfera con la convincente “Circus Bazooko” la cui linea vocale rende tributo ai Beatles più ispirati dell’album bianco (“Am I real, or are you the fool?”) ed in cui la chitarra dialoga con un organo ironico e a tratti beffardo.
L’organo di “Carried From Start” ci introduce alla chiusura del disco: mood bluesy non ritornello poderoso prima della lirica “All Rise”, supportata archi e pianoforte che esaltano il canto scuro e disperato (“Hanging on a single breath / Screaming ‘til there’s nothing left / It’s just all we’ll ever find / Broken as all our minds).
Quando il disco ha terminato l’ultimo dei suoi giri sul piatto, cosa rimane? Da un lato la sensazione che l’ispirazione è tornata a far visita al trio di San Francisco dopo alcuni episodi sottotono, per dar vita ad un disco tutt’altro che necessario o sconvolgente di questi tempi, ma dannatamente piacevole per chi è cresciuto con le loro cavalcate chitarristiche di cui qua e là qualche traccia è rimasta.
Ma al rock&roll, come alla vita in fondo, non si sopravvive ed è bene farsene una ragione.
Tracklist
1 DFF
2 Spook
3 King Of Bones
4 Haunt
5 Echo
6 Ninth Configuration
7 Question Of Faith
8 Calling Them All Away
9 Little Thing Gone Wild
10 Circus Bazooko
11 Carried From The Start
12 All Rise