Alfio Antico è il maestro dei tamburi. Il suo nome spunta negli album dei Musicanova, in quelli di Fabrizio De André e Vinicio Capossela. Per molti non ha bisogno di presentazioni. I volti noti che campeggiano nelle produzioni degli ultimi suoi album sono Carmen Consoli e Lorenzo Urciullo (in arte Colapesce). Il nuovo “Trema la Terra” vede, invece, la produzione artistica di Cesare Basile.
Alfio Antico produce da sé i propri strumenti. Legato visceralmente alla propria terra, la Sicilia, egli è capace di riprodurre, su album e dal vivo, tecniche percussive originali e di raccontare la cultura popolare e contadina che oggi non esistono più.
Diciamolo subito. Nel 2016 Alfio Antico pubblica uno degli album più belli realizzati in Italia negli anni ’10. “Antico” mescolava tradizioni popolari, il siciliano, la musica sperimentale, il minimalismo e l’elettronica. In quell’album non c’era nulla di artificioso. I tamburi erano protagonisti, mentre dettavano il ritmo a narrazioni di una terra isolata, estranea dal resto della penisola. Il tutto diventava racconto di un mondo selvaggio, rispettando e rispecchiando un connubio necessario tra uomo e natura.
Diciamolo pure che “Antico” era un viaggio coraggioso che non prevedeva ritorno, un capolavoro di modernità, vicino a “Die” di Iosonouncane.
Direttamente collegato al cambio di percorso segnato con “Antico”, abbiamo oggi “Trema La Terra”, un lavoro che appare leggermente più convenzionale rispetto al precedente, ma sempre legato ad un microcosmo ancestrale e a sonorità in bilico tra passato e modernità.
Si inizia col brano che da il titolo all’album, “Trema la terra”, il racconto di come un trattore sconvolge un campo e i suoi abitanti. “Pancali Cucina” è una narrazione scatenata di un frenetico mattino contadino. “Nun N’Aiu Sonnu” fa da contraltare, è la fine di una giornata, in solitudine e in compagnia delle stelle, una contemplazione sulla vita e sul lavoro. Alfio Antico gioca spesso con la sua voce, mentre la musica è un’immersione continua in ambienti psichedelici che riproducono la natura circostante.
“Rijanedda” è un momento bucolico, una poesia d’amore cui la legge della natura è sovrana. “Pani e Cipudda” è l’insieme delle voci degli ambulanti di paese che le grandi città sconoscono. “Menza Sira” è un folk-blues da pascolo in compagnia dell’ultima stella che brilla nel cielo, prima dell’alba.
“Lettu Letu” racconta l’amore per una giovane fanciulla di contrada e “Vendemmia” la festa da celebrare nel mese di settembre, tra ubriacature, grappoli d’uva tra i seni e giovani piedi che scalpitano.
Chiude l’album la rarefatta “Mi Figghiu”, dedicata al figlio Mattia, tra i principali collaboratori nella produzione dell’album. In questo finale, Alfio Antico ritorna alla propria infanzia, piena di giochi rudimentali, canti di uccelli, scrosci di vento e raccontando quando tutto questo ebbe fine, ovvero nel momento in cui si fece pastore “Ntra Li Muntagni”.
“Trema la Terra” è un album prezioso che dura poco meno di mezz’ora, realizzato da un artista fuori dal comune. Le nove storie cantate e raccontate, in un siciliano affascinante quanto ermetico, vedono un uomo immerso nella natura, rispettoso e guardingo nei suoi confronti. È un uomo che guarda spesso dentro di sé e prova dei sentimenti. Per il resto è un animale tra gli animali e la natura è la sua casa e la sua ragione di vita.