Tra le viscere del centro storico di Palermo, accanto ad un bar piuttosto famoso, vive nascosta una corte al cui interno è posto un colonnato, sporco di polvere e silenzio. Attorno alla corte si affollano balconi su balconi di vecchie piante grasse e persiane bombardate, mentre al piano terra della corte sonnecchia una vecchia sartoria dal nome tedesco. Varcando la soglia di una porta pitturata di un verde tropicale, si incontra, superati pochi scalini, la testa di gesso o finto marmo di una non meglio identificata personalità o divinità del mondo classico.
Marco Basciano, il DJ più moderno tra i moderni, vive in questa quotidiana rappresentazione della decadenza oppiacea della città di Palermo, buttando giù un caffè dopo l’altro, masticando una bestemmia dopo l’altra, ciondolando di parete in parete, un giorno dopo l’altro, in un appartamento delizioso, un secondo ammezzato, intimo e personale, tra vecchi cimeli, foto sbiadite, bottiglie di passata di pomodoro in fila, credenze con gli sportelli a vetro opportunamente riempiti da tendine ricamate.
Quest’uomo immenso, immenso di corpo e di spirito, le gambe magre e nervose, il torace vorace ed il viso buono, contornato da una barba mefistofelica che parla di follia, mentre i suoi occhi e le sue mani raccontano di un generale gentile, occhi teneri, occhi asciutti, è veramente difficile da restituire a parole. Per più di un decennio Marco ha offerto il proprio corpo alla notte di Palermo, ha cavalcato tutte le più grandi feste e manifestazioni avvenute in città, non esiste piazza in cui non abbia suonato, non esiste locale in cui non sia conosciuto. Eppure questa non sarà mai un’agiografia, ne verrebbe meno il valore storico del personaggio e lo spessore umano della persona, quella che segue è la cronaca affettuosa di uno dei nostri padri, noi, gli animali notturni di Palermo, uno degli uomini che c’ha trasmesso una rabbiosa vitalità, una libera gioia, la felice e dolce atmosfera delle nostre notti.
“Sono nato ad Erice – racconta – e poi ho vissuto dieci anni a Trapani, quando i miei genitori si sono separati e mia madre si è trasferita in Veneto per seguire un corso per diventare insegnante per la scuola Waldorf, ho dovuta seguirla e non ne ero entusiasta. All’inizio è stato traumatico, stavamo in un paesino di campagna sperduto, poi ci siamo spostati vicino Venezia e mi sono innamorato del posto. Frequentavo anch’io una scuola Waldorf e devo dire che era un ambiente davvero stimolante. In quegli anni ero molto interessato alla scena dub napoletana, amavo molto i 99 Posse e gli Almamegretta.
Vidi i 99 Posse a otto anni a Trapani, uno dei miei primissimi concerti. Mia madre ha sempre amato moltissimo i Dire Straits, Aretha Franklin e la musica classica, ascolti che ho fatto miei sin da piccolo. Credo che approcciarsi ad un registro come quello della classica ti apra l’orecchio a tutte le possibilità che offre la musica”.
Marco Basciano è un DJ eclettico, nei suoi set si può ascoltare dalla techno all’hip-hop, dal trash al Can-Can. “Oggi sembra quasi una cosa banale, scontata, ma quando cominciai a mettere la versione originale del Can Can a fine set, per ritrovarmi davanti centinaia, a volta migliaia, di persone a ballare felici una cosa del genere, ecco al tempo era davvero qualcosa di mai fatto prima, fuori dall’ordinario”.
Dopo la parentesi veneziana, Marco rientra a Palermo. “Aavevo appena trovato la mia dimensione in Veneto, quando dovetti fare le valige e trasferirmi di nuovo. Stetti per mesi in uno stato di malessere tale che me ne stavo tutto il giorno chiuso in casa, ogni tanto scappavo a Levanzo, un’isola che ho sempre amato molto. Un giorno un amico mi convinse ad andare ad incontrare una ragazza a piazza Castelnuovo, davanti al Politeama, andai.
Rimasi folgorato: mi trovai davanti quest’orda barbarica di ragazzini come me, nella metà degli anni ’90, che facevano skate, che ascoltavano hip-hop, reggae, dub, ska, fino al grunge e all’hardcore melodico. Piano piano riuscii ad inserirmi anch’io. Nel frattempo al liceo, con un amico, fondai l’UDS Palermo (Unione degli Studenti) e cominciò per me una stagione di acceso impegno politico. Compravo tutte le audiocassette che potevo permettermi e andavo scoprendo cose come Bob Marley, i primi Articolo 31, Frankie HI-NRG, il Colle der Fomento, Neffa, i Sangue Misto, fino ai Rancid ed ai NOFX. Fondai un gruppo cover dei NOFX, i Moron Bros, cominciammo a fare concerti, ero pienamente dentro una scena lontanissima dal clubbing”.
Immaginiamo per un momento che tutte le storie di nightclubbing raccontate finora siano fili, ognuno di un tessuto diverso, ognuno col suo colore e col suo spessore, tutti questi fili si annodano attorno allo stesso nome: Claudio Coccoluto. “A 18 anni persi uno scommessa con un amico per la quale io, col mio retaggio musicale, sarei dovuto andare un sabato in discoteca, un posto in cui non ero mai stato prima ed in cui non mi sarei mai sognato di andare mea sponte. Pago la scommessa e vado al Movida di Carini e mi trovo davanti Coccoluto. È stata una delle esperienze che ha cambiato la mia vita. Un momento esaltante, mi sono trovato davanti questa grande comunità sorridente, la comunità del clubbing”.
Marco a questo punto scopre la musica elettronica: “Cominciai ad ascoltare house, tech-house, techno e perfino tekno. Avevo a che fare col chiacchieratissimo movimento che gravitava attorno ai rave in zona Bellolampo. Situazioni estreme, clandestine, pericolose: le amavo”.
Ho vissuto un percorso simile a quello di Marco Basciano, il mio background non è quello della frequentazione delle discoteche, quanto dei concerti e della musica alternative. Una cosa che fa specie scoprire, quando si viene da questo ambiente, è che, a differenza che in molta musica live, tra il pubblico del clubbing c’è un grado di spontaneità, anche naif, che conferisce all’intero movimento di popolo che circonda la discoteca quella forza popolare che il concerto ha in parte smarrito. Il clubbing è un luogo in cui la gente accorre ancora come luogo del desiderio, il club odora di sesso e libertà e quasi per niente di maniera, il club non ha troppe costruzioni, non erige grossi edifici ideali, è un terrapieno che fa franare e allontana le nostre paure e tiene insieme le nostre voglie.
“Dopo un po’ di anni mi sono un po’ stufato dei rave, erano gli anni in cui aveva aperto da poco il Blow Up a piazza Sant’Anna, che come membro di UDS ho contribuito a mettere su”. Oggi diamo per scontate cose come piazza Sant’Anna pedonale, affollata di gente festosa, così come piazza San Domenico, e tante aree del centro storico, ma prima questi luoghi erano niente più, niente meno che dei posteggi lerci e bui. La notte a Palermo è rinata riprendendosi, con tutti gli errori che si commettono nei grossi movimenti di popolo, errori in fondo sani, il centro storico. Ci siamo ripresi le piazze, le abbiamo fatte nostre, quelle stesse piazze hanno avuto al loro capezzale, nel lungo sonno degli anni dopo il sacco di Palermo, un pugno di locali e circoli, tra i quali sicuramente il Blow Up, che ora non esiste più, occupa un posto di rilievo.
“All’inizio al locale fui chiamato per una sostituzione, desideravo tanto esserci. Era una festa di Carnevale e penso fosse il 2003. Andai e ne uscì fuori un party clamoroso, diventai prima uno dei DJ di supporto che gravitavano attorno alla consolle del locale, per poi arrivare in sei mesi ad occupare il posto di resident del sabato. Ho suonato tutti i sabati per 8 anni al Blow Up, ho costruito il mio stile e la mia carriera su quella consolle, dando un taglio trasversale, sperimentando un melting pot di generi”.
Per otto anni in uno dei locali più importanti del centro di Palermo non c’è stata alcuna festa, la festa era Marco Basciano, la sua consolle, una cosa ad oggi impensabile, una cosa è capitata ad Ibiza a gente come Carl Cox. “In quei sabati ho fatto di tutto. Erano sabati studenteschi, universitari, alternativi, c’erano tanti Erasmus, un pubblico aperto, ricettivo, che mi dava modo di spaziare tantissimo. Suonavo pop, commerciale, electro, techno, house, tutto quello che mi passava per la testa, borse su borse logore, cariche di centinaia di cd rimasticati. Il locale era sempre strapieno, ricordo la difficoltà di attraversarlo da un capo all’altro per andare in bagno mentre suonavo, cercando di non lasciare la festa senza musica. Da lì è cominciato tutto. Da quel luogo è nato qualcosa che sento come uno stile 100% Blow Up, quella capacità di mischiare tutto follemente”.
Marco Basciano è difatti completamente pazzo mentre suona. Ho diviso la consolle con lui molte volte, innanzitutto bisogna dire che attacca brutalmente l’oggetto consolle, pestando i pulsanti, muovendo il mixer, agitandosi, è come se facesse sesso col mezzo. Poi, una cosa che oggi i ragazzi che cominciano a cimentarsi col djing non sono portati a fare, Marco mette a tempo esclusivamente ad orecchio, come fanno tutti i grandi DJ, non ha ovviamente mai una scaletta preparata e non sai mai che pezzo metterà dopo, è totalmente imprevedibile. È un compagno di consolle gentile, la sua enorme cultura musicale e versatilità gli danno modo di essere sempre centrato. La sua cifra è il divertimento della pista, la sua intenzione unica: portare la festa ad esplodere.
“In quegli anni cominciò il mercoledì al Blow Up una festa nuova: il Dress Hap. Si faceva di mercoledì e onestamente, in principio, non l’amavo molto per il taglio nella selezione musicale, decisamente lontano dal mio stile. L’estate si spostarono alle Terrazze dei Candelai, cominciò un corteggiamento al quale alla fine cedetti. Andai a suonarci ed andò parecchio bene, mi divertii molto e li convinsi a puntare forte su di me. Così, dalla stagione invernale successiva, divenni resident il venerdì a I Candelai col Dress Hap. Il mio approccio alla musica cambiò mettendo piede al local, mi trovai davanti molte più persone e con un target molto vario ed orizzontale, ma la festa doveva funzionare, così inserii elementi più pop, ammorbidendo il mio set, rendendolo più omogeneo e tendendo l’orecchio alle nuove tendenze.
Ogni fine settimana ci scontravamo col One Shot allo ZsaZsa, la festa di Simone Vesco, Marco Agnello e Federico Diliberto Paulsen alla consolle. Era un momento felice per la città con due feste di qualità che proponevamo forme di divertimento compatibili eppure diverse, ognuno con i propri contenuti e le proprie idee. Ho sempre pensato che lavorare a I Candelai fosse qualcosa di speciale, mi affezionai molto al locale nel corso delle stagioni col Dress Hap, in special modo a Fabio Schillaci, a cui mi sento particolarmente legato.
Il Dress Hap ad un certo punto lasciò il locale a metà stagione, allora, volendo aiutare Fabio, chiamai Marco Agnello, il mio vecchio rivale del One Shot, che nel frattempo aveva chiuso la sua parabola felice, e gli chiesi se volesse occuparsi dei sabati de I Candelai, lui mi rispose ‘soltanto se tu lo fai con me’. All’inizio ero molto titubante, poi, timidamente, cominciammo a collaborare, facemmo una festa zero e poi un’altra col nome che c’avrebbe accompagnato per anni: The PopShock! La grande intuizione di Marco fu quella di mettere assieme tante intelligenze e tante culture della notte che rappresentavano aree diverse. Musicalmente ero io il baricentro della consolle della festa a cui Giorgio Lo Bosco e Francesco Ferragina seppero aggiungere quel tocco di elettronica e di classe tali che la festa assunse una propria cifra irripetibile. Fu da subito un enorme successo. Avevamo una mentalità aziendale, coordinavamo 30-40 persone, la festa si svolgeva attraverso momenti quasi orchestrali, operavamo spingendo all’estremo la nostra creatività. Per me l’apice di tutto fu una festa al Teatro Gregotti a cui parteciparono non so quante migliaia di persone, mi sentii travolto dall’entusiasmo della gente”.
Il Gregotti, dal nome di Vittorio Gregotti, archistar molto noto per aver progettato, tra le altre cose, lo Zen, è uno spazio peculiare. Una sorta di doppio anfiteatro, esterno ed interno, coperto e scoperto. Un luogo nascosto, che dovrebbe essere sfruttato maggiormente come luogo di aggregazione, mentre da anni si dibatte nell’inutilità degli iter di assegnazione. Un luogo grande, all’aperto ed al chiuso, in città ma anche lontanissimo dall’edilizia residenziale, immerso nella cittadella universitaria, cuore di un quartiere dormiente come il Villaggio Santa Rosalia. Una volta che l’emergenza sarà passata bisognerebbe saper ripartire dai luoghi e dalla gente.
“Ricordo quando facemmo 10mila incoming al Castello a Mare, portammo diecimila persone ad una festa che non faceva da spalla ad alcun artista, vennero in diecimila per noi, per il PopShock!. Ogni anno collaboravamo col Palermo Pride, una tradizione che non si è mai interrotta, ho sempre amato i soundsystem sui carri alle manifestazioni, sin da quando mettevo i miei cd ai cortei al liceo, fino al Pride oggi: la puzza di benzina dei generatori, la difficoltà di tenere la consolle ben fissata sul carro, sono cose che adoro. E poi devo confessare che mi piacciono da impazzire i palchi, mi affascina la folla di fronte a me, l’idea di stregare le persone, mi piace il backstage, una cosa che ricordo con grande affetto e nostalgia sono i Cous Cous Fest a San Vito Lo Capo, dove PopShock! si occupò per un po’ di anni della festa: quella piazza è speciale”.
PopShock! è un progetto in pausa, qualche anno fa questo nome suscitava un’idea di onnipotenza del formato party. PopShock! ha saputo coniugare una matrice commerciale ad una grande ricerca di contenuti, nelle grafiche, nei performer, nelle musiche, nelle fotografie, è stato una fucina di talenti, penso a gente come La Mik e La Villalobos, Dario Denso, Paolo Castronovo ed Adriana Tedeschi, grandi talenti passati per una festa che ha saputo non riempire uno spazio, quanto creare un paradigma non replicabile, evolvendo dalle solite feste commerciali vuote e faraoniche, verso una dimensione leggera e sognante di follia, di divertimento, di allegria, restando coi piedi per terra, a contatto col pubblico.
Marco Basciano si è anche occupato delle grafiche del PopShock! per anni. “La mia passione per la grafica, che ad oggi costituisce il mio lavoro diurno, deriva dalla mia passione per la fotografia. Ho documentato viaggi, concerti, serate, accompagnato dalle mie macchine fotografiche e così mi sono cimentato, utilizzando una reflex, con Illustrator e Photoshop, da lì ho cominciato con la grafica”.
La cifra stilistica nell’immagine di PopShock! è quel suo occhio intriso di simbolismo nel logo, così riconoscibile e spendibile, ricco di significati altri, suggestivi. La cifra di Marco Basciano è la sua capacità di raccontare con serenità l’âge d’or del clubbing palermitano, un’età che Marco ha cavalcato come un generale e imperatore, per coloro che l’hanno visto e che lo vedranno ancora la sensazione è di aver scorto proprio “[…] l’imperatore – quest’anima del mondo – l’ho visto uscire a cavallo dalla città, in ricognizione; è davvero una sensazione singolare vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, spazia sul mondo e lo domina…”
Nota Off
Non è facile scrivere di una persona nei confronti della quale si prova un affetto filiale, si rischia di non riuscire a raccogliere riflessioni ponderate, concentrate in parole misurate, e di lasciarsi trascinare diecimila leghe sotto i flutti del cuore. Coi padri non si chiacchiera, dai padri si impara. Sono pochi anni che faccio il DJ e non so cosa ho da offrire, quello che so è da dove vengo, i miei padri in questo mestiere, che è tutto ciò che riesce a condensare nel mio tempo luce e gioia, sono Marco Basciano – Bash – e Federico Diliberto Paulsen – D_Hanger – entrambi così diversi eppure uniti da una stessa matrice, l’eclettismo; da una cifra simile, la capacità di saper proporre una propria originale rielaborazione musicale adatta ad ogni contesto; da una stessa irrinunciabile intenzione: la festa non deve funzionare, deve esplodere, la gente deve perdersi, la vita deve esondare, il sangue deve bollire, i corpi devono saltare, i baci sciogliersi, le forme devono uscire dai movimenti e fissarsi alle pareti guardando le anime di chi balla, in un selvaggio e barbaro movimento popolare. Il cerchio è chiuso, andate a casa.
Vorrei poter trasmettere e raccontare cosa sono queste anime, ma dovrete andarle a sentire live, perché quel che è, come sempre, non può dirsi.