Mark Lanegan è un uomo costantemente al lavoro. Dopo un 2019 in cui ha pubblicato il suo undicesimo album solista, intitolato Somebody’s Knocking, e collaborato insieme al producer italiano Alessio Natalizia aka Not Waving per il bellissimo album Downwelling, il 2020 vede l’uscita della sua autobiografia Sing Backwards and Weep e del nuovo album Straigth Songs Of Sorrow.
Tutte le quindici tracce dell’album sono apertamente ispirate al libro, e ne sono in un certo senso il riflesso dal punto di vista musicale. I temi affrontati sono proprio quelli che hanno caratterizzato non solo tutto il percorso artistico del cantante di Seattle ma interamente la sua stessa vita: le dipendenze, gli eccessi, la vita di strada, il dolore, la disperazione, la redenzione e infine la rinascita.
È un disco dove fuoriescono preminentemente le due anime musicali di Lanegan: quella più tradizionale del blues spirituale e quella più sperimentale contaminata dall’elettronica. Il tutto sempre magistralmente caratterizzato dalla sua voce roca, sacrale e al retrogusto di whisky.
L’album si apre con uno dei momenti migliori: un loop di percussioni, beat e un drone fanno da sfondo al saliscendi armonico della voce di Mark. I Wouldn’t Want To Say è sicuramente uno degli esperimenti più riusciti da parte di Lanegan (bravissimo nel coniugare il rapporto tra il suo particolare registro vocale e l’elettronica) il quale sembra quasi rinvigorito dalla scoperta di un mondo così tanto distante da quello a cui apparteneva ai tempi degli Screaming Trees.
Il lato più tradizionale viene fuori già nella seconda traccia intitolata Apples From a Tree, dove un arpeggio di chitarra acustica tipicamente à la Nick Drake accompagna un testo che parla di assenza:
You are the part of me I lacked
The mother I never knew
The love I never had
I came up on the streets
Always doing bad
But what I leave behind
Are memories to sell
This Game Of Love è una ballad che vede Lanegan duettare con la moglie Shelley Brien, i due creano un intreccio di voci molto interessante che vede la contrapposizione tra quella rauca e fredda di Mark e quella calda e sensuale della moglie.
Il tema della dipendenza assume un ruolo centrale in pezzi come Ketamine, Ballad Of A Dying Rover, Daylight In The Nocturnal House e Churchbells, Ghosts; in queste canzoni l’atmosfera è cupa e densa, l’anima prova a guarire le ferite ma la perdita e il dolore sono troppo grandi e insopportabili. Non è un caso se durante l’ascolto si pensi spesso e volentieri all’ultimo Nick Cave.
Stockholm City Blues è un bel pezzo country-folk sostenuto da un bell’arrangiamento di banjo e violini, ma è in Skeleton Key che Lanegan raggiunge probabilmente il suo apice. Sette minuti di grande tensione emotiva per un brano imponente che spacca letteralmente in due l’album.
Ugly, I’m so very ugly
I’m ugly inside and out
There’s no denying
Love me, why would you ever love me?
No one has ever loved me yet, pretty baby
Nonostante Mark sia pulito da vent’anni i suoi vecchi fantasmi non smettono di farsi sentire e sembra quasi che sia lui stesso a cercarli e ad evocarli grazie alle sue canzoni, che in questa circostanza sembrano però più delle preghiere disperate e tormentate.
L’album è stato prodotto da Alain Johannes e vede le collaborazioni di figure molto importanti per Lanegan come ad esempio Greg Dulli, Warren Ellis, John Paul Jones, Ed Harcourt, Adrian Utley e Mark Morton.
Il brano che chiude il disco si chiama Eden Lost And Found ed è cantato in coppia con Simon Bonney dei Crime And City Solution. Finalmente ci si discosta dall’oscurità e dal dolore e si intravede una luce carica di speranza, Mark ha sofferto ma ha finalmente trovato un’uscita verso una nuova dimensione.
Adesso è libero dai suoi demoni e dal caos da egli stesso generato e questo disco è la sua rivincita definitiva.