“Each one [of the songs] is like a little moment of discovery or releasing something or being in a certain time or place and having a certain understanding in something”. In questo modo Tom Verlaine spiegò sinteticamente l’opera di un vita intera. Perché questo è “Marquee Moon” dei Television, comunque la si voglia mettere.
Il tempo ha fatto da spartiacque, non invecchiando ma rafforzando questo capolavoro, stabilendo un confine invisibile: nella storia del rock – o meglio, del punk – c’è un prima e un dopo Marquee Moon. In questo caso, si parla di un classico, un album che riesce ad essere sempre qualcosa (in più), che non esaurisce mai la sua tensione emozionale con l’ultimo brano perdendosi nell’oblio, ma diventa un traguardo inarrivabile che merita solo di essere contemplato. Capita davvero raramente di trovarsi dinanzi ad un disco così completo, un vero e proprio esempio di disco futurista, capace di anticipare il cambiamento di un’epoca, di osservare cosa diventerà la musica e la parola descrivendone i contorni con una consapevolezza disarmante.
La capacità dell’arte di anticipare il futuro descrivendolo già come passato è quasi impossibile da scovare e, soprattutto nella musica, ben pochi vi riescono. Ma non si tratta solo di talento, perché quello si scova, soprattutto a metà degli anni ’70; la rarità è la naturale autorevolezza, ossia quella maturità artistica inopinabile che trasmette equilibrio e tecnica, ma anche libertà e sogno, pur proiettando una perfetta commistione di intuizioni ed emozioni vorticose come fiumi in piena che regalano uno stato di grazia la cui personalità rimane imperitura, tanto irripetibile è l’altezza raggiunta.
Marquee Moon è il post-punk prima del punk, un vortice di interazioni sonore che farà (e fa tuttora) da scuola alle generazioni future che necessitano di una guida reale. Increspature free-jazz e punte ardite di psichedelia incastonate in unico disegno musicale che, pur materializzandosi nell’accezione new wave, realizza un’opera punk perfetta. Nel 1977, quando il CBGB, storico locale di New York, era la fucina del punk-rock, da cui esplosero nomi come Ramones e Blondie, i Television erano degli alieni che immaginavano una musica ragionata seppur scanzonata, razionale e romantica, per cui musicisti lontani da quel punk immediato, sporco e urlato che invece si faceva strada nel mondo.
Prima che tutto si realizzasse, occorre tornare al 1972, quando Tom “Verlaine” Miller, Richard Hell e Billy Ficca fondarono i Neon Boys, fra i primi veri ispiratori del proto-punk (non diamo tutto il merito soltanto a band sacre come Iggy Pop & The Stooges). Dopo questo breve inizio, si arriva al 1973, quando i tre, dopo aver reclutato un secondo chitarrista, Richard Lloyd, diedero ufficialmente vita ai Television. Il loro stile era nettamente differente rispetto alle altre realtà musicali: una maggiore progettualità nelle melodie, nella voce e nella composizione.
Per arrivare ad un disco d’esordio si dovette attendere il 1977, annata immensa per molti versi: l’esordio di Clash e The Boys, la pubblicazione di “Radios Appear” dei Radio Birdman, di “Young, loud and snotty “dei Dead Boys, nonché di “Leave Home” dei Ramones. Con l’uscita di Marquee Moon, è come se si fosse scoperta una nuova dimensione, imponente e infinita nella sua visionarietà e si dovesse ripartire da zero. Era come se già si percepisse la fine di un’epoca prima che iniziasse e il tutto all’interno di una tracklist assolutamente perfetta. Il primo brano, “See no evil”, con la sua struttura metallica e ridondante, apre le porte di un altro pianeta, una spaesamento che si avverte anche dalle tonalità vocali di Verlaine, sorpreso ed esterrefatto.
“Venus”, che porta con sé quella versatilità armonica intima, tale da portare a un’esperienza musicale quasi visiva che muta negli assoli, mantiene un’uniformità perfetta e consolida lo stile tecnico della band. “Friction” non abbassa mai la guardia e porta l’album a un livello evolutivo sempre maggiore, quasi come se il disco fosse nato in questa progressione uniforme di percezioni allucinate. Tuttavia, questa prima parte del disco arriva ad una vetta suggestiva e toccante, una title-track di più di dieci minuti, che sembra quasi voltarsi a guardare da lontano il passato (I remember oh how the darkness doubled, I recall lightning struck itself): Marquee Moon è un reticolato di salti nel vuoto illuminati da pennate distorte e accordi che sono pura avanguardia.
“Elevation”, forse, arriva ad essere quasi un ponte, un passaggio generazionale, con quel suono pulito risonante che guarda alla new wave con speranza manifestando una sincera malinconia. “Guiding light” regala una quiete profonda nello spirito e nelle note, intenta a descrivere la notte, il tempo e le lacrime. Basterebbe già questo per gridare al miracolo, ma si arriva oltre, perché la poesia di Verlaine si tinge di una romanticismo poetico sempre più ambizioso. “Prove it”, con quel ritornello spensierato, ritorna alla ricerca delle parole e della strada da seguire (First you creep, then you leap up about a hundred feet, you’re in so deep that you could write a book).
La fine, con Torn Curtain, riporta a galla tutti i sogni abbandonati e le chitarre si fanno affilate, così come la batteria, che sembra predominare in certi punti, portando nella vetta quest’oscurità dilagante che spaventa e, al tempo stesso, accompagna con un pianoforte piangente e soave. C’è poesia e musica, distacco e apprensione. Non si potrebbe desiderare di più. Ma, soprattutto, se nel 1967 The Velvet Underground & Nico sconvolge l’equilibrio del rock’n’roll creando un varco per l’art-rock e la psichedelia, nei dieci anni successivi è Marquee Moon a scombinare nuovamente quell’equilibrio, rimettendo in gioco tutto ciò che è ribellione e gioia. Verlaine diventa un messaggero oscuro, un poeta rivoluzionario decadente dell’età moderna che testimonia il caos congenito all’essere umano, più in lotta con sé stesso che con gli altri.
La luna che avvolge e ammanta, illumina ma travolge è la destinazione di un futuro solo immaginato che è già passato. Quest’oscurità dopo la tempesta ha i colori dei sobborghi newyorkesi, visibili solo attraverso luci fredde e circoscritte, che diventano luoghi universali dell’anima, a tratti algidi e conflittuali, ma sempre cangianti. Tutto questo è il fondamento del post-punk, che deve tantissimo a quest’album per struttura ed elaborazione.
Ci saranno anche altri album per la band newyorkese, “Adventure” e “Television”, anche alcuni album live, ma la Storia è già stata scritta. Marquee Moon è una notte di lacrime in trepidazione illuminata dal cuore del ricordo. Dopo più di quarant’anni, ci sarà sempre tanto da imparare da questa pietra miliare.