Mentre scorrono i titoli di coda, un uomo e una donna ballano davanti a una finestra aperta sulla notte. Si muovono, impacciati e sorridenti, accompagnati da Paolo Conte, che canta “L’orchestrina”. La stessa canzone, in un’altra circostanza, ispira l’improbabile danza del Cardinal Assente (Maurizio Lombardi), che canticchia noncurante dell’austerità del contesto e della sua lunga veste nera.
La musica di “The New Pope” non è un sottofondo: è un elemento della narrazione a tutti gli effetti. Che le canzoni, per Paolo Sorrentino, non fossero lì per mero intrattenimento, lo sapevamo già. Non serve andare troppo lontano nel tempo: la serie “The Young Pope“, nel 2016, ha riportato in auge “Senza un perché” di Nada, uscita 12 anni prima, facendola rientrare in classifica. È bastata la scena di un ballo, lineare e pulito, che non aveva bisogno di nient’altro che di quella voce e quelle note.
Se, poi, volessimo andare un po’ più indietro, non dovremmo fare troppa fatica. Un film su tutti: “This must be the place”, che prende il nome da un brano dei Talking Heads. Nei lavori di Sorrentino, i generi musicali si mescolano, tra passato e presente, in un insieme fatto di grandi successi italiani, indimenticabili classici, hit internazionali e ritmi di ogni tipo.
The New Pope si attiene rigorosamente agli standard del regista e, forse, li porta anche a un livello superiore. La serie sarebbe la stessa, senza quelle canzoni? Le immagini dei titoli di testa, con le croci al neon e le sagome che si dimenano, sarebbero identiche senza “Good time girl” dei Sofi Tukker? Probabilmente no.
La senti, quella musica, ma soprattutto la vedi. Così, nelle stanze della Segreteria di Stato risuona “Voglio una pelle splendida” degli Afterhours (una nuova versione, rifatta appositamente per la serie), tra protagonisti che hanno, più che mai, i cuori sporchi e le mani lavate.
Altra scena, altre mani, cioè quelle che consolano, cantate da La Rappresentante di Lista in “Questo corpo”. Il brano di Go Go Diva rivela un’attrazione proibita, imbarazzata e struggente, e prosegue, risuonando nelle stanze dei giochi di potere tra Stato e Chiesa.
In mezzo a tutto questo, trova spazio anche Marilyn Manson che, a colloquio con Papa Giovanni Paolo III (John Malkovich) dimostra di essere molto più “umano” di quanto non ci abbia fatto credere per decenni.
Sia chiaro: la forza narrativa della musica non l’ha certo scoperta Paolo Sorrentino. Però è bello osservare le canzoni che si mettono in mostra, guardarle mentre prendono forme diverse.
Il suono di The New Pope va di pari passo con le immagini, ma sa anche uscire di scena al momento giusto. E, anche quando non vuole uscire di scena, lo portano via a forza, con un’interruzione netta dei brani: qualcuno preme il pulsante “stop”, un po’ come a voler dire che c’è un confine da non superare. Il problema, però, è che la musica quel confine l’ha già superato. Ma è giusto che sia così: di confini, questa serie, non ne rispetta neanche uno. Perché allora dovrebbe limitarsi la musica?